Autocrati di tutti i Paesi, unitevi!
Il nuovo manifesto degli autocrati
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 22 febbraio 2025
Da quando un mese fa Donald Trump si è insediato alla Casa Bianca, ogni giorno capita qualcosa di nuovo e quasi mai si tratta di novità piacevoli. Ci troviamo infatti di fronte ad una vera e propria rivoluzione delle regole democratiche per opera del paese che per lunghi decenni è stato il riferimento della democrazia mondiale.
Nell’America di Trump sembrano non esistere limiti al potere del principe, che procede rinnegando i fondamentali della sua stessa Costituzione, imitando, con un’impressionante progressione, i comportamenti dei regimi autoritari.
Prima di tutto nel campo della politica interna, dove Trump sta spingendo i propri poteri ben oltre quelli, pur poderosi, che la Costituzione ha sempre affidato al presidente. I pesi e contrappesi fra i diversi poteri dello Stato, che avevano costituito il simbolo stesso della democrazia americana, non esistono più, come non esistono più le prerogative della pubblica amministrazione e sono quotidianamente umiliati i ruoli del Senato e della Camera dei rappresentanti.
Ugualmente calpestate sono le regole della politica estera, non solo con la diretta minaccia alla sovranità del Canada, di Panama e della Groenlandia, ma con un’interferenza senza precedenti nella vita politica dei paesi democratici, a partire dalla Germania. Si è arrivati fino al punto che il vice presidente americano si è rifiutato di incontrare il cancelliere tedesco in carica per fare propaganda in favore della candidata del partito di estrema destra, a lui avversa.
Ho elencato solo gli episodi che costituiscono una violazione formale delle regole democratiche alle quali si aggiungono le gravi rotture nei confronti della comunità internazionale.
Del lungo elenco in proposito, mi limito a ricordare il progressivo ritiro dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dagli accordi sul clima, ai quali si aggiunge il taglio totale degli aiuti ai paesi in via di sviluppo e la incredibile proposta di fare di Gaza un deserto, col trasferimento dei suoi abitanti in altri paesi per poi comprarla e trasformarla in un resort di lusso. Il tutto insieme al rinnovato proposito di accompagnare questa rivoluzione politica con barriere doganali talmente elevate da isolare gli stessi Stati Uniti dal resto del mondo.
A questo attacco globale contro le regole della democrazia e della solidarietà internazionale si è aggiunto un ormai strettissimo legame con Putin e il palese disprezzo nei confronti di Zelensky, fino a poche settimane fa esaltato dagli Stati Uniti come il simbolo della resistenza democratica contro il totalitarismo.
A questo radicale cambiamento di fronte si è accompagnata una crescente distanza nei confronti dell’Europa, additata non solo come simbolo di inefficienza, ma anche di corruzione morale e politica.
Bisogna ammettere che la risposta europea è stata tragicamente inappropriata, con la convocazione a Parigi di un incontro improvvisato fra i principali paesi europei (compresa la Gran Bretagna) che si è concluso non solo senza una comune strategia, ma con un’evidente distanza fra i partecipanti perfino sull’ipotesi di inviare truppe dedicate a garantire la sicurezza dell’Ucraina dopo la possibile tregua e gli eventuali accordi di pace.
L’unica proposta concreta da parte europea è stata quella di aumentare le sanzioni contro la Russia, pur sapendo che la loro pur limitata efficacia diventa nulla se non è supportata dal sistema di controllo dei flussi finanziari internazionali, totalmente in mano americana.
A questo punto non sembra esservi alcun limite alla condotta di Trump che, con l’obiettivo di dividere la Cina dalla Russia, sta ormai considerando l’Europa come un vero e proprio nemico degli Stati Uniti, sia dal punto di vista politico che dal punto di vista economico.
Il rapporto diretto ed esclusivo con Putin è strumentale a questo duplice disegno, che non solo isola l’Europa politicamente, ma la obbliga a rompere i rapporti commerciali con la Russia e la rende sempre più dipendente dal petrolio e, soprattutto, dal gas naturale proveniente dagli Stati Uniti. Isolare la Russia ed indebolire l’Europa, usando estrema prudenza nei confronti della grande Cina, è oggi il chiaro e incredibile disegno di Trump.
Del tutto naturale appare quindi la nostra totale ed esplicita esclusione dalle trattative per porre termine alla guerra di Ucraina, come se i paesi europei non avessero fatto una sforzo davvero poderoso nel sostenere economicamente e militarmente il paese aggredito.
D’altra parte bisogna ammettere che, a causa delle nostre divisioni, abbiamo rinunciato ad esercitare una qualsiasi iniziativa e un ruolo di mediazione politica. Una mediazione che, non casualmente, si sta svolgendo a casa dei signori del petrolio, in Arabia Saudita.
Anche questa decisione fa parte del disegno di Trump per cui, per fare grande l’America, conviene accordarsi con gli autocrati e non con i leader democratici, sistematicamente disprezzati, collettivamente e individualmente.
Sembra quasi che Trump, dopo centosettantasette anni, voglia trasformare il motto del Manifesto, che incitava all’unione di tutti i proletari del pianeta, in un nuovo Manifesto in cui, invece dell’unione tra tutti i proletari, si invoca la grande unione tra tutti gli autocrati.
In questo quadro, che purtroppo descrive la nuda realtà di oggi, chiudiamo queste constatazioni con una riflessione e una speranza. La riflessione punta sul fatto che la società americana è sempre stata capace di esprimere nuove risorse e di rinnovarsi. La speranza (ma è solo una speranza) è che l’ostilità americana verso di noi costringa l’Europa a costruire quell’unità che proprio la protezione americana aveva fino ad ora reso possibile rinviare.