Avrei votato sì al piano Ue ma è un passo troppo prudente
«Avrei votato sì al piano Ue ma è un passo troppo prudente La sinistra? Non è saggia»
L’ex premier: governo incapace, non cade perché non c’è alternativa
Meloni tra Usa e Ue, rischiamo di essere Arlecchino servo di due padroni
Intervista di Marco Ascione a Romano Prodi su Il Corriere della Sera del 22 marzo 2025
Professor Prodi, ricomponiamo il puzzle: Strasburgo, 12 marzo, il Parlamento europeo approva la risoluzione sul piano di riarmo, con l’Italia al voto in ordine sparso. Lei che cosa avrebbe fatto?
“Avrei votato sì. Anche se si poteva cambiare nome fin dall’inizio. Era chiaro che si sarebbe trattato di un progetto di collaborazione di lungo periodo tra i Paesi europei!”.
La nuova formulazione utilizzata da Ursula von der Leyen, “Readiness 2030“, ossia pronti nel 2030, la soddisfa?
“Mi ha fatto un po’ sorridere la dichiarazione di essere pronti a cooperare nel 2030. E fino a che siamo arrivati a quella data che cosa succede? Non solo è una data lontana, ma manca totalmente l’indicazione di una volontà precisa sulla comune difesa. Sono passi ancora troppo prudenti. Una maggiore cooperazione senza contenuti non basta”.
Il ministro Crosetto, in una lettera al “Corriere”, ha sostenuto che la difesa comune, allo stato dei fatti, è una mezza utopia perché è formalmente prevista nei trattati ma per sbloccarla servirebbe un voto all’unanimità del Consiglio europeo.
“Ma di che cosa stiamo parlando? Il voto all’unanimità si può saltare, basta volerlo. E con l’euro che cosa abbiamo fatto? E se Orbán lo preferisce si faccia il suo esercito con i suoi pennacchi”.
Suggerisce quindi un’Europa a due velocità sulla difesa?
“Certo, si parte con chi condivide il progetto. Poi chi vuole segue”.
Il piano europeo, per come è stato congegnato, non rischia di far esplodere i debiti nazionali? La Germania si è mossa in autonomia attivando il suo “bazooka” e togliendo il freno agli investimenti. La Francia e la Polonia sono destinate a spendere, ma molti Paesi restano alla finestra.
“La questione del debito pubblico è diversa da Paese a Paese. È chiaro che la Germania nel 2030 avrà un esercito più forte di quello francese, perché ha un bilancio della difesa che è più del doppio. E quindi, come sempre maturo, la questione è un’altra: Parigi dovrebbe condividere il diritto di veto e l’arma nucleare. È questo il problema vero. Solo così la stessa Francia rafforzerebbe la sua posizione. Purtroppo, invece, la democrazia lavora solo sul breve periodo”.
I tedeschi si sono mossi con una velocità impressionante.
“Il ragionamento di Berlino è limpido. Prima si sentiva garantito dall’ombrello americano e sapeva che il peso del suo passato era condiviso da tutta l’opinione pubblica. Ora c’è stata una scossa alle fondamenta, lo scenario è mutato. Il presente e il futuro sono diversi dal passato. Guardiamo anche alla Gran Bretagna che aveva lasciato l’Europa per le sue nostalgie imperiali e perché l’antico legame con Washington le garantiva un marchio di diversità rispetto a noi. Adesso agli americani di loro non interessa più nulla. Gli inglesi stanno scoprendo che l’Unione europea non è un tiranno, ma un protettore. Penso che entro 15 anni rientreranno nella comune casa di Bruxelles”.
Lei ci crede nel processo di pace gestito da Putin e Trump?
“Non so come Trump abbia messo buono Zelensky, ma quel messo che è certo è che non si possono permettere di fallire. Sarà un cammino lungo e porterà obbligatoriamente a una conclusione“.
Ha ancora senso stanziare aiuti per l’Ucraina?
“Sì, perché testimonia che finché la guerra continua la solidarietà verso l’aggredito è un fatto concreto”.
Una volta definiti i contorni della pace serviranno le truppe sul campo per difendere lo status quo?
“È prematuro parlarne e comunque sembra che ci si orienti a limitare il coinvolgimento di truppe di pace appartenenti solo a Paesi neutrali, escludendo quindi l’Europa. Una posizione difficilmente condivisibile. Inglesi e francesi dicono che sono disposti subito a inviare soldati perché tanto sanno che non lo dovranno fare”.
Dopodiché Putin continuerà ad essere una minaccia?
“Sì se siamo divisi, no se siamo uniti. Se avessimo avuto la difesa comune, l’Ucraina non sarebbe stata invasa“.
L’Italia è frammentata a destra ea sinistra, sia sul piano di difesa, sia sugli aiuti a Kiev. Perché?
“A destra e a sinistra ci sono radici storiche profonde che spiegano questa frantumazione. Giorgia Meloni politicamente parlando non nasce certo dalla Camera dei Comuni, ma affonda le sue radici in un ambiente di radicalismo di estrema destra. E anche a sinistra si sente l’eco di radicalismi altrettanto forti. È il ritorno degli ideologismi che sta rovinando anche l’America di Trump. Dottrina contro saggezza. Questa destra incapace vive perché la sinistra non è saggia. Se lo fosse non avrebbe indebolito la propria coalizione”.
L’Europa è più figlia del Manifesto di Ventotene così duramente attaccata al Parlamento dalla premier Giorgia Meloni o dell’azione di De Gasperi?
“È una distinzione che non ha senso. Gli autori del Manifesto non erano a Ventotene in vacanza, ma perché là deportati e confinati dal fascismo. Che cosa puoi pensare in quel momento? Alla Magna Carta? Alle sottigliezze del bicameralismo? Erano alle prese con il dramma del presente e hanno tratteggiato un sogno per il futuro. De Gasperi si è invece mosso a guerra finita, con realismo politico. È impressionante il gioco che fa Meloni e appare chiaro quanto sia pro Europa per possibile convenienza, ma non nell’anima”.
La presidente del Consiglio sostiene che non va separata l’Europa dagli Stati Uniti.
“Meloni si dovrebbe rendere conto che tutti vanno a Washington e lei no perché non c’è più bisogno dell’Italia. Così rischiamo di essere Arlecchino servo di due padroni. Chirac mi diceva sempre: non c’è Europa senza l’Italia. Purtroppo non è più così. Il futuro cancelliere tedesco Merz si è fatto sfuggire che, a sostegno del tandem franco tedesco, c’è la Polonia e non più l’Italia. Questo è un nostro dramma nazionale”.
Che cosa bisogna fare di fronte ai dazi di Trump?
“Vogliamo forse dire: fai pure? Non possiamo restare a guardare. Trump parla sempre di deficit americano nella bilancia commerciale con l’Europa. Questo è vero se parliamo di merci. Me se aggiungiamo anche i flussi di denari che derivano dai servizi, soprattutto dei big data, siamo noi in leggero passivo. E se poi trattenessimo, con l’unità dei mercati finanziari, i 300 miliardi di risparmi europei investiti in fondi americani, allora recupereremmo anche parte delle risorse che ci servono per la difesa”.
Nel Pd, dopo il disastro del voto in Europa sul riarmo, con la linea della segretaria Schlein che ha rischiato di finire in minoranza, si è riaffacciata la parola congresso.
“Io non entro nel dibattito interno del partito. Ma dico che è urgente costruire un’alleanza che vinca alle prossime elezioni, un’alleanza progressista”.
Poiché questa alleanza dovrebbe essere fatta con il Movimento 5 Stelle, non sembrano esserci i presupposti, al momento.
“È per questo che il governo non è caduto, nonostante lo stato in cui si trova. Perché esistono opposizioni, ma non un’alternativa di governo».