Dopo il referendum si ricomincia da capo: costruire una nuova Europa solidale

Prodi: basta vertici a 2, ora idee nuove

Intervista  a Romano Prodi su Avvenire del 7 luglio 2015

Un’ammissione: «Non c’è dubbio, la posizione negoziale di Tsipras diventa più forte». Un’amarezza, confessata a denti stretti: «Se si riparte dai vertici a due franco-tedeschi, ho l’impressione che non si sia imparato molto. Non è questa l’Europa che sognavo, per la quale abbiamo lottato». E un auspicio: «Ora comincia comunque una partita nuova. Siamo fortunatamente condannati a riaprire le trattative. Su tutto, anche sulla ristrutturazione del debito». Per natura e per esperienza, Romano Prodi è abituato a guardare in prospettiva. Lui, uno dei padri dell’euro (anche per questo amato o contestato, a seconda dei punti di vista), 24 ore dopo lo tsunami del No greco che spaventa l’Europa si ribella all’idea di un declino inevitabile della costruzione europea e chiede – con ancor più forza – uno scatto in avanti per «costruire una nuova Europa».

Cosa cambia il trionfo del no?

Cambia il potere contrattuale. La Grecia è ora più forte di prima e di due anni fa. Uno scarto di 20 punti è enorme. È scattato un aspetto emotivo, legato all’identità e all’orgoglio nazionale, che ha portato i greci a dire “non vogliamo essere guidati dall’estero”. A questo punto tutti i giochi si possono riaprire. È come se si ricominciasse da capo.

Qual è il suo atteggiamento? Amareggiato, sorpreso, deluso?

La sorpresa è che nessuno si aspettava uno scarto simile. È stato un segno forte di unità del Paese. Ho sempre sostenuto però che, sia che vincesse il sì sia il no, si sarebbe dovuto ricominciare a trattare. Il risultato non potrà interrompere i negoziati, siamo fortunatamente condannati a riprenderli. Anche perché l’Europa vi è indotta da una grande paura che c’è nel contesto internazionale, con gli Usa e la Cina a temere che la crisi progressiva dell’euro metta in difficoltà il sistema economico mondiale. E la Germania non può prendersi da sola la responsabilità di chiudere del tutto le porte, avviando così la crisi dell’euro.

Intanto Varoufakis si è dimesso.

È la riprova che anche da parte greca non c’è la voglia di lasciare l’euro, come lo stesso Tsipras ha confermato. Un nuovo ministro può favorire un nuovo processo negoziale. Sarebbe sbagliato opporre un rifiuto.

Ma che giorno è questo? Tsipras ha detto che «può partire un’altra Europa».

Al di là della tara da fare alle frasi di un vincitore, che cominci un’altra Europa io me lo auguro da 6-7 anni perché non si può andare oltre con delle istituzioni europee così indebolite. Il che non vuol dire cedere a certe trasandatezze greche, agli aspetti irrealistici delle loro proposte. La trattativa va subito reimpostata su basi nuove, è stato sbagliato delegarla per anni a un organismo tecnico – anche con l’”intrusione” del Fmi – o farla guidare nella sostanza a un solo Paese.

Per ora si riparte dall’incontro Merkel-Hollande, 24 ore prima del confronto fra tutti i leader Ue.

Sotto questo aspetto mi pare che si sia imparato poco. È una musica che conosciamo già. È il segno di un’Europa che non vuole essere pluralistica e si concede solo al dialogo con i francesi. Speriamo almeno che stavolta ci sia più ascolto rispetto al debolissimo tentativo di mediazione che fece Hollande la settimana scorsa e che fu subito bloccato dalla Merkel. Per lei è difficile distaccarsi da una linea dura, visti i condizionamenti subiti dalla sua maggioranza interna. In ogni caso ora serve una proposta forte su una linea alternativa, che sviluppi il ruolo delle istituzioni Ue.

L’Italia può avere una posizione chiave? Cosa pensa di Renzi, al quale taluni rinfacciano una linea troppo ondivaga?

Io non lo so cosa pensa… È da un anno e mezzo che auspico un ruolo dell’Italia più attivo perché, assieme agli altri stati del Mediterraneo, potrebbe coagulare un arco più ampio di Paesi. Il fatto è che qui ognuno, ogni Paese pensa di essere migliore degli altri. La Francia da sempre, la Spagna perché pensa di essere uscita dalla crisi malgrado abbia ancora una disoccupazione così forte. Il guaio è che il livello dei nazionalismi è ancora troppo forte.

Intanto c’è il fronte dei Paesi baltici e dell’Est che sembrano ancor più duri nel chiedere l’uscita della Grecia dall’euro.

Incoscienti ce ne sono sempre stati. Chi fa politica non può non porsi il problema del cosa succede dopo. Chi concepisce l’Europa pensando che comincia e finisce esattamente con la propria dottrina, ha un orizzonte limitato. Tenendo conto soprattutto delle politiche nazionali si finirà per far chiudere bottega all’Europa. Bisogna rendersi conto invece che c’è, che a unirci ci deve essere un obiettivo comune che non può che essere la solidarietà. Facendo dell’Europa una vera autorità federale. Con uno spirito rinnovato.

Lei usa spesso, per la Ue, l’immagine del “pane cotto a metà”. Non si chiede a volte se hanno avuto un senso gli sforzi fatti, per arrivare al punto in cui siamo?

Certo che l’ha avuto. Sì, c’è costata fatica, ma nella convinzione che alla fine sarebbe stato cotto per intero. L’Europa resta il più bel disegno politico di pace e prosperità mai avuto. Ricordo Kohl quando mi diceva: “ricordati che Roma non è stata fatta in un giorno, pensiamo ora a consolidare l’euro“. È l’unica salvezza per il nostro futuro, per non avere un’Europa schiacciata da Usa e Cina. Se spegniamo il forno, le colpe non sono di quel disegno ma di chi lo spegne oggi. E sono identiche fra popolari e socialisti: la caduta di fede e di fiducia nella Ue non ha colpito una sola parte, ma tutti.

Ma ci sono tempi utili per un negoziato che eviti la Grexit?

Ci sono. Nell’immediato il primo segnale che può dare la politica è di lasciare mani libere alla Bce di Draghi che, dopo aver già svolto un’indispensabile supplenza, deve mantenere aperti i “rubinetti” per le banche greche. Anche la Commissione e il Parlamento europei devono acquisire una forza autonoma, senza più agire in perfetta dipendenza dagli interessi nazionali. Se la Bce è lasciata sola, ci potrà essere un nuovo incidente. Il caso Grecia non è isolato, deriva da una mancanza di controllo sui conti nazionali. Io proposi sotto la mia presidenza una Corte dei conti europea e la risposta di Francia e Germania fu che non serviva.

Per l’Italia esiste un rischio contagio?

I nostri parametri sono buoni. Non vedo un vero rischio per l’Italia, però vedo la necessità urgente di una politica comune perché nuovi rischi sono sempre imprevedibili…

Cosa pensa dei politici italiani andati ad Atene?

Penso che nessuno ha passione per la politica europea. Non sono mica andati ad aiutare Atene, sono andati per i loro interessi di partito, perché trovavano un palcoscenico adatto. Ai greci non gliene importava molto della loro presenza… Ciò premesso, va detto che il loro disegno è riuscito.

Un messaggio al popolo greco?

Dico loro che è l’ora di usare la forza acquisita col referendum. Ma con saggezza. Io sono convintissimo che esista quella saggezza dei popoli europei che alla fine farà prevalere una soluzione.

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
luglio 7, 2015
Interviste