L’effetto Trump/Musk sul mondo post europeo
Effetto Trump sul mondo post europeo
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 18 gennaio 2025
Fra due giorni, con l’insediamento di Donald Trump, si passerà dalle parole ai fatti. Le parole dette da lui e dal sempre presente Elon Musk sono state tante e tutte inquietanti. Dalle nuove barriere doganali disseminate in tutto il mondo alle ridefinizioni della sovranità nei confronti del Canada, della Groenlandia e di Panama, fino alle inusitate intrusioni nella politica interna tedesca e britannica. Si è arrivati al punto di proporre addirittura una nuova denominazione per il Golfo del Messico.
Minacce sparse ovunque, ma non nei confronti di Cina e Russia che, pur essendo i suoi nemici giurati, Donald Trump ritiene debbano essere rispettati in considerazione della loro forza.
Un’aggressività ben più estesa ed intensa rispetto a quella espressa nella sua prima campagna elettorale, anche perché, al progetto di rendere grande l’America nel mondo, si è aggiunto un attacco senza precedenti non solo nei confronti delle strutture parlamentari, ma di tutte le istituzioni del paese: dalla Magistratura, alla Banca Centrale fino agli organismi di sicurezza nazionale.
Se anche solo parte di questi propositi venisse messa in atto, ci troveremmo di fronte a un sostanziale cambiamento del concetto di democrazia, che gli americani non solo hanno sempre ritenuto fondamento della loro vita collettiva, ma si arrogavano anche il dovere di esportarla nel mondo.
Il paradosso della coppia presidenziale, che mette insieme l’uomo più potente e l’uomo più ricco del mondo, è arrivata a tal punto che molti fra i più raffinati analisti della politica americana si dividono fra coloro che auspicano che i nuovi leader siano bugiardi e quelli che si augurano che litighino fra di loro.
Tenuto conto della quantità delle esagerazioni verbali, speriamo che almeno gli obiettivi che provocherebbero danni ingenti per la pace e per la prosperità globale non siano perseguiti.
Meno probabile, a mio parere, è invece che si consumi una rottura fra Trump e Musk. Non solo perché la loro unione ha costituito un elemento determinante per la vittoria elettorale, ma perché questi interessi comuni si stanno estendendo a tutto il nuovo establishment economico americano con una velocità sorprendente.
In soli pochi giorni i giganti della nuova economia hanno abbandonato il fronte democratico, hanno sostituito i loro rappresentanti a Washington e hanno adattato la propria strategia. Questa repentina virata ci lascia pensare che l’allineamento alla politica presidenziale sia l’unica scelta possibile.
Siamo infatti entrati in un nuovo ordine nel quale le elezioni legittimano la nascita di un potere politico dell’esecutivo senza alcun limite. In questo modo viene eroso il sistema di pesi e contrappesi che costituisce la necessaria caratteristica della democrazia.
Nello stesso tempo è stato tolto ogni limite allo strapotere economico. Proprio quel limite che da quasi un secolo e mezzo gli Stati Uniti, con le leggi antitrust, avevano ritenuto essere uno strumento fondamentale per la conservazione degli equilibri democratici.
Oggi si è creata una nuova realtà per cui è ritenuto impossibile che al sistema delle imprese vicine a Trump possano essere applicate le stesse misure di contenimento a cui furono sottoposte la Standard Oil e la AT&T, semplicemente perché il loro grande potere economico era stato ritenuto rischioso per la vita stessa del sistema democratico.
Di fronte all’avanzata di questo nuovo ordine, l’Europa si presenta sempre più debole in termini economici, tecnologici e soprattutto in termini di capacità decisionale.
Alla tradizionale dipendenza nella difesa si è aggiunta una dipendenza altrettanto marcata nell’energia e nelle tecnologie che ormai condizionano la nostra vita quotidiana. Siamo sempre più dipendenti dagli Stati Uniti ma, essendo divisi, siamo sempre meno influenti nella politica americana.
Di fronte all’intrusione politica nei singoli paesi abbiamo solo una flebile lamentosa difesa da parte della Commissione Europea e un’inutile protesta dei governi che assistono impotenti a questa invasione di campo. A questo si accompagna la mancanza di un progetto collettivo di dimensione e rapidità tale da garantire l’efficacia e la sicurezza del nostro sistema informativo.
Proprio la contingente debolezza di Francia e Germania potrebbe permettere all’Italia di assumere un ruolo trainante nella direzione di una comune politica europea. Tuttavia vi sono troppi elementi che fanno dubitare che il nostro paese voglia svolgere questo ruolo, scegliendo di adattarsi alla preferenza americana per il rapporto bilaterale.
Può darsi che questo possa offrire anche vantaggi nel breve termine, ma al prezzo di contribuire all’arrivo di un mondo che il Wall Street Journal definisce come “post europeo,” un mondo in cui l’Europa non conta più nulla.
In attesa di queste decisioni possiamo tuttavia constatare che, almeno nella direzione della trasformazione della democrazia, non solo siamo allineati, ma abbiamo addirittura preceduto gli Stati Uniti nel ritenere che la vittoria elettorale permetta all’esecutivo una prevalenza assoluta rispetto a tutti gli altri organi istituzionali, a partire dal Parlamento per finire con la Magistratura, inclusi il sistema dell’informazione e i progetti di riforma costituzionale.
D’altra parte, di fronte ai cambiamenti descritti, può anche prevalere la necessità di adattare all’oggi un famoso detto del passato e concludere quindi che “Washington val bene una messa”.