I partiti scaricano tutti i problemi addosso a Draghi
“I partiti scaricano tutti i problemi sul capo del governo”
L’ex premier: non può pensare a ogni cosa Draghi
Intervista di Federico Fubini a Romano Prodi su Il Corriere della Sera del 27 ottobre 2021
C’è chi per distrarsi va al mare, chi in campagna. Romano Prodi ha appena finito un giro dei grandi centri di smistamento pacchi in Italia. “Dhl, Poste italiane Amazon… Impressionante, vedi il mondo che cambia”. È il segreto del Professore per annusare l’aria nuova prima degli altri.
Presidente, dopo la crisi dell’euro l’Europa rispose con l’austerità e la ripresa fu lenta. Stavolta sarà diverso?
“È diverso il clima in economia, mentre in politica estera o militare passi in avanti ne sono stati fatti pochi. Ma in economia vi sono nuovi elementi che hanno favorito il cambiamento: gli errori fatti dieci anni fa, la Brexit e soprattutto la nuova consapevolezza tedesca che non vi può essere sviluppo della Germania senza che il Paese resti inserito in Europa. Proprio come per noi. Queste realtà hanno cambiato l’atmosfera. Quindi noi oggi abbiamo più spazio per la ripresa”.
Si spiega così il rimbalzo più forte del previsto?
“Anche. Il risultato è che probabilmente arriveremo allo stesso livello di prima della pandemia insieme agli altri Paesi e non resteremo indietro come nell’altra crisi. Questa crisi sta durando meno, sta durando molto meno. Aggiungo poi la situazione particolare italiana di un governo e di un presidente del Consiglio che hanno un’autorevolezza e riscuotono una fiducia superiori rispetto ai tempi passati”.
Altra novità: in Europa per la prima volta si parla del nostro ritardo tecnologico e vogliamo reagire. Ma abbiamo messo a fuoco le priorità giuste?
“Il ritardo europeo non è nuovo. Ciò che lo ha reso più visibile è che noi siamo assenti in alcune delle catene del valore ormai vitali. Chiamiamolo l’effetto-mascherine. Improvvisamente, ci troviamo spiazzati e questo mette a nudo la crisi industriale europea. Ma sarebbe un errore darci per sconfitti. Anche nell’industria aeronautica l’Europa era perdente e poi ha fatto Airbus. Dobbiamo realizzare qualcosa di simile nei semiconduttori e in qualche anno ce la faremmo. Il problema è che oggi non c’è una politica industriale europea. Le grandi decisioni sono in mano alle imprese oligopolistiche mondiali e noi – noi italiani – non abbiamo nessuno che sieda con forza a quei tavoli e gli europei non si mettono d’accordo.
Pensa a Amazon, ai grandi fornitori di servizi digitali?
“Penso anche a Intel”.
Il gruppo statunitense che sta negoziando per investire nella produzione di microchip in Francia, Germania e Italia?
“Esatto. Investe in Europa, come fa anche Tesla, perché oggi le imprese globali capiscono che devono essere presenti con tutta la loro supply chain in ciascuna delle grandi zone economiche. Ma Intel e Tesla dove decidono di andare? In Germania per gli stabilimenti principali, entrambe. La parte dell’investimento Intel in Italia mi sembra piuttosto secondaria. Eppure avremmo tante zone con la stessa produttività della Germania e salari che sono la metà. Però abbiamo un’immagine di Paese ancora problematica e nessuno a questi tavoli che ricordi le opportunità che ci sono in Italia”.
Noi italiani siamo entrati nella crisi Covid senza una politica industriale e, secondo alcuni critici, manca un po’ anche dal piano di Recovery.
“È per questo che dico: grande è l’attenzione alla macroeconomia, scarsa l’attenzione alla microeconomia. Ci vuole un punto di riferimento che prema sui grandi gruppi globali e abbia una squadra di tecnici che presenti loro i punti di forza italiani. Ma il ministero dello Sviluppo economico non ha ancora costruito una struttura a questo dedicata: è tutto dedicato alla gestione delle crisi industriali. Cosa importante, per carità, ma diversa”.
Può indicare allora da quali priorità ripartirebbe?
“Il problema principale dell’Italia non sono le competenze, che ci sono, ma la quantità delle competenze. Non superiamo i mille laureati all’anno in matematica. Fa ridere. La prima cosa da fare è un enorme sforzo, come sta iniziando a fare per le scuole tecniche l’attuale ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, ma in senso molto più ampio. Non avrei nessuna esitazione a sostenere anche finanziariamente i ragazzi che scelgono le facoltà scientifiche, o a rivoluzionare l’insegnamento della matematica nelle scuole, perché così oggi non stiamo preparando il nostro futuro. Dobbiamo puntare non solo sulla qualità ma anche sulla quantità delle competenze”.
Vede il rischio che, senza fare delle scelte tecnologiche o industriali, alla fine l’Italia debba semplicemente accettare quelle europee?
“Sì, ma non dimentichiamo che abbiamo le medie imprese. Sono la nostra miniera d’oro. Se riusciamo ad avere una bilancia commerciale attiva e quote di mercato mondiale in crescita, è per merito loro. Vanno fatte crescere. In fondo gli incentivi agli investimenti tecnologici introdotti da Carlo Calenda, quando era ministro dello Sviluppo, hanno funzionato. Ma, ripeto, manca un grande sforzo corale per l’istruzione. Per anni ho chiesto alla Rai che facesse un serial sui nostri ragazzi delle scuole tecniche che hanno avuto successo. Ma dico io, li hanno fatti per i preti, per i poliziotti, per i forestali. Per chi ha fatto la nostra industria no?”
Ci sono timori che il Recovery incroci un’amministrazione che non è strutturata per eseguirlo. Li condivide?
“L’alleggerimento della burocrazia e la rapidità delle amministrazioni è un tema. Ma il percorso è appena iniziato, non si può essere drastici nel giudicare la situazione negativa che ancora esiste.
Dunque è sbagliato dichiararsi perdenti in partenza?
“Sì. Allo stesso tempo, è un cammino che dobbiamo ancora percorrere. Ed è su questo che saremo misurati. È l’impegno su questo che dobbiamo vendere all’estero”.
Si direbbe che i partiti facciano così tanto affidamento sulla credibilità di Mario Draghi per portare avanti tutto, che in realtà lo stanno lasciando solo. Sbagliato?
“Sbagliato nella misura in cui Draghi non può fare tutto da solo. I partiti scaricano, almeno temporaneamente, i problemi su di lui. Ma lui si può interessare solo di quelli più grandi. Invece loro li scaricano tutti su di lui. E se si fa riferimento a Draghi per qualsiasi cosa, dalle pensioni a cose micro, ai singoli problemi aziendali…Questo appartiene all’attuale fase storica. Ma è un’illusione che possano essere le singole persone a risolvere tutti i problemi. Credo molto al ruolo tecnico delle strutture ministeriali, che si è molto affievolito. Le strutture vanno rinforzate. Le nostre élite giovanili devono tornare a lavorare anche nei Ministeri”.
Ma in Italia la politica scarica sempre le patate bollenti sui governi tecnici. I partiti saranno in grado di gestire la sfida del Recovery da soli, dal 2023?
“Non lo possono fare neanche mettendosi in mano a un supertecnico. Anche per i partiti esiste un problema di squadra: di qualità e quantità della squadra. Non mi sembra che i partiti stiano dedicando molta attenzione al livello della squadra.
Naturalmente alla testa di tutto c’è sempre un politico: chi prende le decisioni e tiene gli equilibri fra i diversi partiti è sempre tale.