La Catalogna dimostra che le secessioni hanno un costo elevatissimo
Lezione catalana – Quanto costa la secessione per inseguire i tornaconti
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 24 dicembre 2017
Le notizie economiche arrivate da Barcellona dopo il referendum del 1 ottobre sull’indipendenza catalana sono tutte cattive. Tremila imprese, comprendendo le banche locali, hanno trasferito la loro sede fuori dalla Catalogna e gli investimenti esteri sono crollati verticalmente. Molti osservatori (tra i quali io stesso) pensavano quindi che le elezioni di giovedì scorso avrebbero segnato una flessione nel voto degli indipendentisti rispetto al referendum e avrebbero con questo facilitato il dialogo fra Barcellona e Madrid.
Le cose sono andate diversamente: i catalani non hanno votato col portafoglio ma col cuore, avendo ben presente che il cuore può essere non solo sede dell’amore ma anche dell’odio.
Le elezioni hanno perciò confermato i rapporti di forza del passato: gli indipendentisti escono con una grande forza in termini di voti ( 47,5%) e con la maggioranza di seggi nel parlamento regionale (70 su 135), anche per effetto di una legge elettorale che premia l’elettorato rurale nei confronti di quello di Barcellona.
Limitandoci a questi risultati si potrebbe concludere che non è successo nulla di nuovo. Il quadro politico è invece radicalmente mutato.
La sconfitta del primo ministro spagnolo Rajoy è infatti andata oltre ogni previsione. Il suo Partito Popolare, ridotto a tre deputati, scompare dalla scena catalana. La leadership contro la secessione è ora in Catalogna nelle mani del Partito dei Cittadini (Ciudadanos), risultato il primo assoluto nelle urne, anche se troppo debole per offrire un’alternativa di governo.
La leader di questo partito si è schierata duramente contro l’indipendenza catalana anche se, a differenza di Rajoy, non ha messo l’accento sugli aspetti puramente giuridici e repressivi che, dopo il referendum repubblicano del 1 ottobre, si sono trasformati in un conflitto aspro e violento.
La sconfitta di Rajoy ha infatti origine dal modo con cui ha affrontato la questione catalana, usando lo strumento giuridico accompagnato dalla forza e non dall’intelligenza politica.
Il vantaggio con cui partiva nella difesa del valore dell’unità nazionale è stato annullato dai modi repressivi con i quali ha messo in atto la sua strategia.
In genere, alle sconfitte di questa misura, segue la dimissione del leader. Il che appare invece impossibile nel caso di Rajoy perché il Partito Popolare è obbligato a stringersi attorno a lui per la concorrenza che il partito dei Cittadini, vincitore in Catalogna, è ora in grado di portare avanti anche a Madrid. Per la stessa ragione è difficile pensare ad elezioni nazionali anticipate, impossibili senza il consenso di Rajoy.
A sua volta il fronte indipendentista, anche se vincitore ai seggi, esce dalla consultazione elettorale più diviso di prima. Per potere governare a Barcellona ha bisogno dell’appoggio del gruppo più radicale ed estremista della coalizione, oltre che della rinuncia al seggio degli otto parlamentari eletti ma impossibilitati a votare perché tre di loro sono in carcere e cinque in esilio volontario.
Le elezioni catalane hanno perciò indurito entrambi i contendenti e hanno segnato la sconfitta di coloro che, come il sindaco di Barcellona e il leader del partito socialista catalano, si erano dedicati alla ricerca di possibili mediazioni.
Non ci sono quindi, almeno fino ad oggi, elementi per pensare che la paralisi generata dalle elezioni possa aiutare il dialogo. Entrambi i contendenti pongono infatti condizioni inaccettabili dall’altra parte e motivano il proprio rifiuto col rifiuto degli altri.
In questo dramma si è fatto sovente appello all’utilità di una mediazione Europea, anche perché, nella quasi totalità dei contendenti, prevalgono i sentimenti filo-europei, largamente condivisi sia nella politica catalana che in quella spagnola.
Una mediazione impossibile perché, almeno in questa fase storica, le istituzioni europee non hanno alcuna legittimazione ad intervenire in una controversia di carattere puramente nazionale. Questo anche per non creare un precedente che sarebbe pericoloso applicare alle altre numerose controversie in corso (o potenziali) fra gli Stati nazionali e le autonomie regionali.
Quindi nessuna mediazione europea ma solo un’eventuale prudente azione di “facilitazione”qualora questa fosse richiesta da entrambe le parti. Il che sembra assai lontano da ogni presente possibilità.
Riguardo a queste controversie interne ai paesi membri ci troviamo nella situazione paradossale che proprio l’Unione Europea, offrendo stabilità e garantendo la partecipazione ad una grande area di mercato, può dare l’illusione di favorire i processi di indipendenza delle regioni più ricche che, separandosi dalla casa-madre, godrebbero di tutti i vantaggi economici senza alcuna conseguenza negativa.
Il caso della Catalogna dimostra invece che questi processi hanno un costo elevatissimo. Ai danni degli scorsi mesi si aggiungeranno i danni prodotti dai risultati delle scorse elezioni. Non si vede infatti come la pulsione suicida generata da questa controversia possa avere un rapido termine.