Mediobanca ha legato i piedi alla nostra industria. Per rilanciarla, incentivi a scuole tecniche e studenti
Prodi: «Mediobanca? Mediobanca ha legato i piedi all’industria italiana»
Articolo di Paolo Bricco su Il Sole 24 Ore del 27 settembre 2013
Romano Prodi, all’Università Cattolica di Milano, alterna le valutazioni storiche sul capitalismo italiano, i giudizi sui nuovi equilibri geo-economici internazionali, le analisi sulle condizioni attuali del manifatturiero italiano. Lo fa con la libertà di chi è in mezzo a un gruppo di amici. Qui, fra venerdì e sabato, si svolge infatti l’incontro annuale della rivista L’Industria. La pubblicazione, da lui fondata nel 1975 ed edita dal Mulino, si è imposta nel dibattito pubblico nazionale con la sua miscela di saggi scientifici e di interventi più divulgativi.
Intorno ad essa, si sono formate almeno due generazioni di economisti – più o meno “prodiani” in senso stretto – che, nella loro ricerca scientifica, hanno dato dignità alla realtà effettuale all’interno della modellistica più teorica e che, nella vita pratica, hanno formato il network a cui Prodi ha attinto nella sua attività di uomo di governo, italiano ed europeo. A portare la conversazione pubblica, venerdì mattina, sui binari più disparati è stato il metodo prescelto da Enzo Pontarollo, attuale direttore dell’Industria, per sondare il pensiero di Prodi: gli studenti e i neo-laureati della Cattolica a porre le domande, il Professore (per una volta) a rispondere. “Mediobanca? Mediobanca ha legato i piedi all’industria italiana”. Cosi Prodi sul ruolo avuto dall’istituto fondato da Enrico Cuccia, baricentro del sistema industriale italiano per tutto il Secolo Breve. Una opinione netta, ma formulata con la prudenza di chi sa che i giudizi storici sono assai complessi e densi di criticità. “Oggi sono sparite le grandi imprese. Ne abbiamo meno dell’Olanda e del Belgio. Mi fa impressione pensare che imprese di livello come Mossi & Ghisolfi o la Techint dei Rocca, per citarne due fra le altre, siano tutte state fuori dal giro di Medioanca. Vorrei che gli storici ci aiutassero a capire meglio. C’è qualcosa su cui riflettere”.
Dunque, Prodi lascia agli storici il compito di andare negli archivi, di incrociare i numeri, di raccogliere le testimonianze. Ma, da protagonista della storia italiana che ha tutt’altro che subito l’egemonia di Via Filodrammatici, non rinuncia al suo pensiero. “Era un sistema – ricorda Prodi – gestito da persone con una rettitudine morale molto forte, ma per cui il futuro era il passato”. Prodi parla di Mediobanca per parlare di tutta l’industria italiana, in cui per quasi tutto il Novecento l’asse Mediobanca-oligopoli-establishment politico ha impostato un modello di sviluppo divergendo dal quale si deviava da una sorta di verità incrollabile. Con un doppio effetto: di impenetrabilità storica dall’esterno e di riduzione delle capacità generative all’interno. “Quando trattavo la vendita dell’Alfa alla Ford – ricorda Prodi – preservai la mia credibilità perché chiarii, con la controparte americana, che se la Fiat avesse deciso di prendersela, non ci sarebbe stato nulla da fare. Quando successe così, gli americani mi dissero: “Lei è un galantuomo””. Quel modello ha avuto un secondo effetto: il sistema produttivo ha generato molte innovazioni, ma non è riuscito a produrre e “ingegnerizzare” sui mercati i prodotti finiti derivanti da quelle innovazioni. “Perché? E’ legittimo chiedercelo”, riflette Prodi. Il quale, poi, torna sull’attualità: “Io e Pier Angelo Rovati, per il piano di separazione della rete da Telecom, fummo attaccati. Se fosse stato fatto, sarebbe stata una operazione di buon senso”.
Quindi, al di là dell’analisi puntuale su Telecom, Prodi sceglie di considerare i punti di debolezza del nostro tessuto industriale e civico. Prima ancora che per il cuneo fiscale, “gli stranieri non compiono investimenti green-field nel nostro Paese, mentre acquisiscono i marchi, perché mancano la sicurezza e la certezza“. La quotidianità del fare impresa, dunque, è minata soprattutto dall’ambiente giuridico-istituzionale. Un ambiente in cui uno degli elementi di maggiore debolezza è costituito dalla pubblica amministrazione. Un altro fattore su cui agire per modificare l’ambiente in cui fare impresa, rendendolo meno ostile, è rappresentato dalle policy. Niente soldi a pioggia. “Un pochino di grano a ogni gallina – dice Prodi – è una ricetta che non funziona proprio”. Inoltre, bisogna andare al cuore – emotivo e materiale, culturale e economico – della nostra identità manifatturiera. Per rafforzare la nostra storica capacità di combinare diverse tecnologie complesse, la formazione tecnica e ingegneristica è fondamentale. “Perché non pensare – si chiede Prodi – a esentare dal pagamento delle tasse chi si iscrive alle facoltà di ingegneria? Oppure perché non dare degli incentivi alle scuole tecniche e ai ragazzi che le frequentano?”