Migranti: un primo bilancio sul modello Albania

Nodo migranti – Modello Albania, un primo bilancio

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 02 novembre 2024

Ora che le acque si sono calmate e, come sempre capita, si è passati a parlare di altri argomenti, conviene ritornare a riflettere sul significato, la portata e le conseguenze della ben nota decisione di utilizzare l’Albania come sede temporanea per giudicare se un immigrato, giunto in Italia senza sufficiente documentazione, abbia o meno il diritto di essere accolto o debba essere invece rinviato nel paese da cui proviene.

Un progetto ripetutamente motivato dalla necessità di difendere i nostri confini dagli immigrati irregolari e di combattere più efficacemente le reti criminali che prosperano sul traffico di esseri umani.

Di per se stesso non si tratta di un’iniziativa di grandi dimensioni e comunque non risolutiva del problema, dato che le strutture di detenzione destinate ad ospitare gli immigrati soggetti ad esame possono al massimo contenere tremila persone le quali, anche ipotizzando un rapido esame delle pratiche, costituiscono una parte trascurabile di coloro che debbono essere sottoposti a controllo.

Se modesta è la portata effettiva della decisione, assai più rilevante è il suo costo ed ancora più rilevante la sua valenza politica.

Quanto al costo, anche se non abbiamo ancora dati definitivi, sono già state superate le molte decine di milioni di Euro.

D’altra parte non poteva essere diversamente, dato che bisognava impiegare notevoli risorse per rendere adatto allo scopo il porto di arrivo e si sono dovuti costruire due ‘insediamenti’ (anche se questo è un termine assai benevolo) dei quali il primo vicino al punto di approdo e l’altro nell’entroterra, isolato da importanti centri abitati.

Un progetto che doveva essere necessariamente completato con un costoso adattamento delle infrastrutture esistenti e con l’adozione dei massicci sistemi di sicurezza che i media internazionali hanno abbondantemente mostrato.

Considerato che la responsabilità del corretto funzionamento del progetto è ovviamente in mani italiane, si deve tenere conto del costo aggiuntivo del personale in trasferta dall’Italia per provvedere, con le necessarie garanzie, all’alloggio, al vitto e, soprattutto, alla custodia di questi particolari inquilini. Tutto questo complesso progetto ha naturalmente già generato serie complicazioni, che potremmo definire di carattere sindacale, da parte del numeroso personale italiano destinato a trasferirsi in Albania.

Come accennavo in precedenza, molto rilevante è però la sua valenza politica: trattare male gli immigrati -anche se questo non durerà molto a lungo, data la nostra scarsità di mano d’opera– porta indubbi vantaggi politici.

Questo non solo in Italia, ma in tutti i paesi europei e, con ancora maggiore evidenza, anche negli Stati Uniti, come emerge dalla campagna elettorale in corso.

Il plauso che è arrivato al nostro Presidente del Consiglio è stato infatti caloroso e quasi unanime, anche se poi nessun paese, nemmeno la Gran Bretagna, che pure aveva da tempo progettato di portare gli immigrati in Ruanda, ha dato alcun seguito alla controversa decisione.

Come avviene in tutti i progetti innovativi, non potevano mancare gli imprevisti e gli errori di preparazione. Nel nostro caso sono stati però superiori a qualsiasi aspettativa, non solo per il ben noto intervento della Magistratura che ha doverosamente preso atto del conflitto con la legislazione europea, ma per lo stratosferico costo del primo trasbordo.

Un viaggio che, anche senza tenere conto del forzato cammino di ritorno, è costato, per ciascuno dei primi 16 immigrati trasferiti in Albania, più del doppio di un viaggio in prima classe da Roma a New York e ritorno.

Naturalmente, ad ogni costo corrisponde un vantaggio che, in questo caso, è andato tutto a favore dell’Albania. Non solo perché le infrastrutture e gli edifici, dopo che avranno portato a termine il compito prescritto, rimarranno ovviamente di proprietà albanese, ma anche perché il Primo Ministro Edi Rama può giustamente fregiarsi di essere artefice di un evento storico: non è più l’Italia a soccorrere l’Albania, ma è l’Albania a soccorrere l’Italia.

A cui si aggiunge, come conseguenza, l’impegno da parte italiana di una più vigorosa iniziativa per accelerare l’ingresso dell’Albania nell’Unione Europea.

Tutto questo senza contare che questa decisione non ha, e non può avere, alcuna conseguenza sull’aumento o sulla diminuzione del flusso di emigranti verso il nostro paese.

A conclusione di queste riflessioni, ci si deve porre l’interrogativo se tutte queste risorse non sarebbero state meglio impiegate nell’organizzare, con maggiore efficienza e umanità, i centri di accoglienza esistenti e nel localizzare in territorio italiano, con meno spesa e più efficacia, quello che si è voluto fare in Albania.

Non era certo difficile, discutendo con le comunità locali come sempre si usa fare in democrazia, trovare un luogo idoneo, sufficientemente protetto e sicuro, in territorio italiano.

Il costo sarebbe stato infinitamente minore e avrebbe anche creato qualche occasione di lavoro in aree in cui ancora molti sono costretti ad emigrare proprio per adempiere alle stesse funzioni (tra le quali anche quelle di guardia carceraria) che avrebbero esercitato, certo con maggiore gradimento, vicino a casa.

E’ evidente che, di fronte ai costi aggiuntivi, vi sono stati vantaggi politici immediati per chi ha preso la decisione, ma è doveroso constatare che, dopo un breve passaggio di tempo e soprattutto con l’affievolirsi delle polemiche, stanno invece crescendo gli interrogativi sull’opportunità e la ragionevolezza del progetto messo in atto dal nostro governo in Albania.

 

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
novembre 2, 2024
Articoli, Italia