Nuovi gasdotti e rigassificatori per l’indipendenza energetica
Nuovi scenari – L’energia per il Paese e gli indugi burocratici
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 05 febbraio 2023
I tragici avvenimenti politici degli ultimi mesi ci hanno almeno obbligato a collocare nella sua giusta importanza il problema dell’indipendenza energetica del nostro paese. Dato per scontato che il primo passo dovrebbe e deve essere quello di utilizzare le nostre non scarse risorse interne, sia tradizionali che rinnovabili, il passo successivo è quello di rendere più stabili e sicuri i rifornimenti dall’estero.
La politica di avere un fornitore dominante, nel nostro caso la Russia, si è dimostrata sbagliata, anche se nel passato tutti gli esperti, a partire da quelli di Bruxelles per finire con quelli di Roma, assicuravano che il fornitore più sicuro, fin dai tempi dell’unione Sovietica, era la Russia.
La guerra di Ucraina ha obbligato ad una inversione di tendenza che ha portato a cambiamenti non immaginabili, ma che ha anche fatto emergere una nostra capacità di adattamento superiore ad ogni aspettativa. L’import dalla Russia è passato dai 28,2 miliardi di metri cubi del 2021 ai circa 11 miliardi nell’anno appena trascorso. A questo si aggiunge l’inevitabile obiettivo di portare a zero l’importazione di gas russo entro l’inverno del 2024/25.
A fronte di questa così drastica riduzione di import dalla Russia, gli arrivi dall’Algeria sono aumentati di due miliardi di metri cubi, di altri 3 miliardi dall’Azerbaijan (tramite il provvidenziale e tanto ostacolato TAP) e di 4,4 miliardi dai tre terminali di rigassificazione di Rovigo, Livorno e Panigaglia. Provvidenziale è stato inoltre l’aumento delle forniture dal Nord Europa, anche se la limitata capacità produttiva renderà quasi impossibile ripeterlo in futuro.
La necessaria diversificazione delle nostre forniture dovrà quindi partire dall’aumento della produzione nazionale e da una più veloce messa in atto dei nuovi rigassificatori. La velocità con cui la Germania ha già inaugurato un nuovo impianto di rigassificazione (e se ne inaugureranno presto altri due), non è confrontabile con l’Italia, dove il progresso è soprattutto nei litigi.
Anche nei confronti delle fonti nazionali il dibattito sull’utilizzazione dei non trascurabili giacimenti esistenti va avanti con lentezza esasperante e non si è ancora dato corpo all’elementare obiettivo di ricoprire tutti i tetti delle zone industriali, artigianali e commerciali del nostro paese di apparecchiature per la produzione di energia, risparmiando anche lo sfruttamento degli scarsi terreni agricoli.
In questo quadro la nostra sufficienza energetica può essere solo garantita dal Mediterraneo, dove cospicue sono le risorse individuate (fino a diecimila miliardi di metri cubi di metano) e promettenti le nuove scoperte, anche se il loro sfruttamento, come è il caso degli immensi giacimenti che stanno intorno a Cipro, Egitto, Gaza e Israele, è ostacolato da enormi difficoltà politiche e il trasporto del gas di loro produzione è reso difficile da gravosi costi e notevoli ostacoli tecnici.
Nel quadro presente, l’asse portante del rifornimento di gas all’Italia rimane quindi l’Algeria. Giustamente e opportunamente il governo italiano ha rinnovato e rafforzato il rapporto con questo paese, che è ora il nostro principale fornitore e che, con il gasdotto che arriva a Mazara del Vallo attraverso la Tunisia, ha ancora una possibilità di aumentare il gas trasportato.
Il problema è quello di aiutare l’Algeria ad essere in grado di esportare la quantità di gas aggiuntiva perché, insieme all’aumento della popolazione, sta crescendo con grande rapidità il consumo interno.
Basti pensare che, nel 2022, è stato esportato solo il 55% della produzione nazionale contro il 64% del 2012, anche se una percentuale sempre più alta di questo export è ora diretta verso l’Italia.
Naturalmente questa difficoltà nell’incremento della produzione non è dovuta solo all’aumento del consumo interno, ma anche agli scarsi investimenti messi in atto negli ultimi anni.
In questo quadro di necessità si apre la grande occasione italiana di accompagnare la nostra vicinanza politica all’Algeria con una massiccia presenza dell’Eni che, forte di una indubbia primazia tecnologica e di una potenziale sinergia con Snam e Saipem, ha tutte le carte per diventare il partner insostituibile dell’Algeria sia nel campo politico che in quello economico.
Fra Italia ed Algeria esiste oggi una complementarietà straordinaria, che non può essere sostituita da nessun altro possibile rapporto fra l’Algeria e qualsiasi altro paese, né oggi né in un prevedibile futuro.
Il cambiamento della direzione geografica del flusso delle importazioni di gas non comporta soltanto una nuova politica estera, ma anche una vera e propria rivoluzione nel nostro sistema dei metanodotti. Nel 2020 il 63,1% delle importazioni di gas attraverso i gasdotti proveniva da Nord, da dove ovviamente arrivava il metano fornito da Russia, Norvegia e Olanda. Il restante 39,1%, proveniente da Algeria e Azerbaijan, approdava in Sicilia e in Puglia.
In soli due anni le proporzioni si sono invertite (33,2% dal nord e 66,8% dal sud) mentre i consumi maggiori sono ovviamente nel nord del paese. Per rispondere a questo radicale cambiamento, dobbiamo quindi costruire in fretta, anzi molto in fretta, un nuovo gasdotto tra Sulmona e la Pianura Padana.
Esistono anche controversie sulla necessità di realizzare questa grande opera pubblica ma, anche in questo caso, sono soprattutto le lentezze del processo autorizzativo che stanno rinviando i lavori a domani, anche se la necessità è di oggi.