Ora l’Italia ha l’occasione per cambiare le regole dell’Europa
Nuova Commissione: L’occasione italiana per cambiare le regole Ue
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 15 settembre 2019
Prima di affrontare l’esame del Parlamento, i componenti della Commissione Europea hanno trascorso due giorni riflettendo fra di loro in pieno isolamento: per conoscersi meglio e per meglio organizzare fin dall’inizio il lavoro futuro che comincerà il primo novembre. In fondo l’antica tradizione del ritiro spirituale, resa oggi popolare più dalle squadre di calcio che da chi cerca un tempo per riflettere, è uno strumento utile anche in politica. Ed è davvero un peccato che il convulso ritmo delle nostre crisi di governo impedisca che questa buona abitudine delle istituzioni europee non si possa applicare anche all’Italia che ne trarrebbe davvero grande giovamento.
In ogni modo l’intervallo fra i due giorni di ritiro e l’esame del Parlamento ci permettono di riflettere sulle caratteristiche e le novità politiche della nuova Commissione.
In primo luogo ne è uscita una Commissione con una maggiore forza politica rispetto alla precedente. Germania, Francia, Italia e Spagna hanno inviato a Bruxelles candidati di primo livello e politicamente significativi. Lo scarso margine con cui la nomina di Ursula von der Leyen è stata approvata dal Parlamento non deve trarre in inganno: molti dei voti a lei contrari provengono da europeisti convinti e sono solo il frutto di temporanee tensioni di politica interna, soprattutto conseguenza del modo certamente improprio con cui la presidente stessa è stata designata.
D’altra parte Brexit, la crisi economica e le guerre commerciali stanno rendendo necessarie decisioni politiche rapide e tecnicamente complesse che solo la Commissione è in grado di prendere. Si tratta quindi di una Commissione potenzialmente più forte, sia in campo economico sia politico, anche se rimangono altri settori estremamente importanti, a partire da quello migratorio, nei quali il mancato accordo fra i governi rende ancora complessa l’elaborazione di una politica comune.
Entrando nei programmi più caratterizzanti di questa nuova Commissione due sono le sue principali linee-guida. La prima è la svolta ambientalistica. Il “new deal” ecologico volto a fare dell’Europa la forza trascinante per mettere in sicurezza il nostro pianeta obbligherà a cambiamenti radicali tutte le strategie europee: dalla politica dei trasporti all’energia, dalla ricerca agli investimenti pubblici.
Il secondo grande obiettivo è il rafforzamento della capacità concorrenziale europea nel campo dello spazio, del digitale e dell’intelligenza artificiale. Un passaggio necessario per non essere definitivamente sopraffatti da Cina e Stati Uniti in un confronto che ci vede perdenti nel campo politico, economico, scientifico e militare.
Una strategia difficile ma percorribile perché voluta con determinazione dai governi e dai commissari tedeschi, francesi, italiani e spagnoli.
Essa non può tuttavia essere messa in atto senza mobilitare una quantità di risorse molto superiore a quella che i governi europei sono stati fino ad ora disposti a trasferire alle casse europee.
Con un bilancio inferiore all’1% del Prodotto Lordo Europeo non si può certo pensare di ritornare tra i protagonisti della storia mondiale.
A questa breve analisi sul ruolo della futura Commissione non può naturalmente mancare una riflessione sul possibile compito dell’Italia.
Il nostro paese non è mai stato un leader assoluto della politica europea ma ha sempre svolto un ruolo determinante nel rendere decisioni condivise le diverse proposte, spesso fra di loro in conflitto. Finché, con lo scorso governo, non ci siamo allontanati dall’Europa, siamo sempre stati determinanti nelle sue risoluzioni.
Adesso siamo ritornati ad essere ascoltati e considerati David Sassoli è ora Presidente del Parlamento e, con Paolo Gentiloni, l’Italia ha ottenuto un dicastero di importanza fondamentale, con responsabilità primaria nel settore economico: un ruolo del tutto impensabile fino a qualche settimana fa. La polemica politica si è sforzata di sminuirne l’importanza, data la presenza di un vice presidente coordinatore nella persona di Valdis Dombrovskis, classificato tra i falchi della politica economica. Le cose stanno diversamente: le deleghe affidate a Gentiloni non si discostano da quelle di Pierre Moscovici, che tutti i media definivano come onnipotente. Anzi: accanto alle due direzioni di cui Moscovici era responsabile ne è stata aggiunta una terza che riguarda il delicato e importante controllo di Eurostat, con autorità su tutte le statistiche europee.
Nessuno si deve e si può aspettare che Gentiloni utilizzi la sua carica per ottenere eccezioni ai patti che l’Italia ha solennemente sottoscritto. Il suo compito sarà quello di dare il proprio importante contributo al cambiamento delle regole che si sono dimostrate inadatte a governare un sistema economico così complesso come quello comunitario. Non sarà un compito facile anche se la crisi economica della Germania sta rendendo più saggi i governanti tedeschi. Compito ancora più difficile per Gentiloni sarà dirigere i duemila funzionari delle tre gigantesche direzioni generali che da lui dipenderanno.
Armonizzare il lavoro di tanti e spesso raffinati specialisti appartenenti a ventotto diversi paesi, portatori ciascuno di diverse culture ed interessi, richiede uno sforzo titanico e anche un po’ di fortuna. Sullo sforzo non abbiamo dubbi. Di fortuna ne auguriamo tanta.