Ora non c’è alternativa a questo governo, si al MES per fare ripartire l’Italia
Prodi “Niente rimpasti, una crisi è impensabile. Sì al Mes, riformato o no”
Abbiamo bisogno di un vaccino anche per l’economia: un piano che dia all’Italia traguardi per uscire dalla crisi Sul Recovery Fund la decisione finale spetta al premier affiancato dai ministri Gualtieri e Patuanelli
Intervista di Luciano Nigro a Romano Prodi su La Repubblica del 03 dicembre 2020
Da un lato la pandemia che sta mettendo a durissima prova gli italiani. Dall’altro un Paese che avrebbe bisogno di una politica meno inconcludente e di obiettivi per affrontare la crisi. Questo vede Romano Prodi. Dopo aver passato l’estate e l’autunno a ricordare al governo che era ora di passare all’azione, l’ex premier e presidente della Commissione europea, ora ammonisce i partiti a non sprecare l’unica grande occasione nelle mani dell’Italia, quel Recovery fund che potrebbe rimettere in moto un Paese piegato dal Covid.
Un dito di neve, la prima dell’anno, imbianca i tetti di Bologna e il Professore ha appena terminato la sua corsa di nove chilometri (“Sul tapis roulant, sia chiaro perché le regole vanno rispettate”) quando accetta l’intervista, rigorosamente a distanza. “La situazione è grave – avverte Prodi – anche l’Italia ha bisogno di un vaccino. E l’Europa non starà a guardare”.
La spina del giorno, professore, è la riforma de Mes. Berlusconi annuncia che non la voterà, i Cinquestelle sono in sofferenza.
“Mi sembrano giochi politici e non li capisco. Il Mes per la sanità va preso, con o senza riforma”.
Che cosa succede, però, se la riforma non passa? Non rischia di indebolirsi ancora di più il rapporto con l’Europa?
“Non credo che accadrà. Mi sembrano tattiche senza un vero contenuto”.
L’altro tema che tiene banco da dieci giorni è il rimpasto di governo.
“Già, pare un nome più adatto a un cibo per animali domestici che a un governo. Ma a parte le battute, con i rimpasti si sa come si comincia, ma non si sa come si finisce. E se non viene presentata un’alternativa di governo, lo si sa ancora meno”.
Vede delle somiglianze con il passato?
“No, affatto. Un tempo i rimpasti si facevano perché un partito o una grande corrente (i dorotei, i fanfaniani ) mettevano in discussione la linea di governo. Oppure perché un ministro finiva sotto accusa”.
E oggi? Anche Zingaretti e Di Maio chiedono una correzione della squadra di governo. Persino Goffredo Bettini, l’ideologo del patto giallo-rosso dice che cambiamenti sono necessari, non ora, ma dopo la manovra.
“Sinceramente, non vedo chiare proposte alternative. Chi vuole il rimpasto? Qual è la linea? In realtà, dai partiti sento solo dei borbottii. Attenti però che i borbottii non diventino una voce forte e poi un urlo che può trasformarsi in agonia”.
Teme che le tensioni facciano saltare il banco?
“Il Paese non può permettersi una crisi di governo oggi. C’è Next Generation Ue, un progetto di enormi dimensioni e di drammatica urgenza”.
Ma può un governo debole affrontare un impegno del genere?
“C’è forse un altro governo disponibile a interagire in modo efficace con l’Europa? Una crisi politica in questo momento non è immaginabile. Anche Ursula von der Leyen pochi giorni fa ha ricordato: “Aspettiamo dall’Italia le riforme e le decisioni per lo sviluppo””.
Una sollecitazione?
“Una frase che riflette i timori che ci sono tra i funzionari di Bruxelles nei confronti dell’Italia. L’Europa verificherà e controllerà come vengono spesi i soldi dei suoi cittadini. Perciò chiede progetti seri e concreti. E noi, così come aspettiamo il vaccino per dare speranza all’Italia ammalata, abbiamo bisogno di un vaccino anche per l’economia: un grande piano che dia all’Italia un traguardo per uscire dalla crisi”.
Un vaccino anche psicologico?
“C’è chi pensa che il denaro europeo sia un anestetico che aiuta a passare il dolore di questa fase. Non è così, se restiamo nella metafora medica deve essere un ricostituente per il futuro”.
È da tempo che lei parla di un governo lento a decidere. Ora anche nel Pd c’è chi si chiede se questo governo può farcela.
“Tutti i partiti hanno una crescente difficoltà nell’intermediare il rapporto fra cittadini e governo. Non si riuniscono nemmeno più. Fingono di avere un ring, ma non ci saltano sopra. Le forze politiche aiutino il governo, o lo incalzino. In un momento complesso come questo i partiti, se non hanno una linea comprensibile, capita dal Paese fanno danno solo a se stessi“.
E il governo, allora, come dovrebbe gestire il Recovery? Che cosa farebbe lei al posto di Conte?
“Innanzitutto bisogna evitare che ogni Regione e ogni ministro presenti la propria autostrada, il proprio acquario o la propria fiera. Servono invece pochi grandi progetti con un’unica strategia. Una strategia per l’ambiente, la digitalizzazione, le infrastrutture e l’ammodernamento delle strutture produttive. Progetti concreti, però, non capitoli di spesa”.
Già e chi sceglie? Un comitato di esperti, un organismo di trecento persone?
“Trecento persone? Non si saprebbe neppure dove metterle! Anche se molti dovranno contribuire a costruire progetti coerenti”.
Un gruppo di tecnici, allora?
“Io ho in mente qualcosa di simile a quello che è avvenuto in Francia dove Macron, assieme al primo ministro, ha assunto su di sé la responsabilità, usando come braccio operativo l’ufficio del piano. Tradotto in italiano, penso che la decisione finale per il Next Generation Ue debba essere in capo al premier affiancato dai ministri economici Gualtieri e Patuanelli, con Amendola a fare da tramite e collegamento con Bruxelles. Certo, dovranno servirsi di un gruppo di persone di alta competenza che affianchi il lavoro del Cipe e delle diverse burocrazie, operando naturalmente in rapporto con le Regioni e i sindacati. Ma la decisione finale non può che essere al massimo livello politico”.
Basterà questo per placare la rabbia che si sente serpeggiare in un Paese prostrato, che sta per ritrovarsi con 5 milioni di poveri?
“Per aiutare le persone in difficoltà il governo ha speso in aiuti cifre senza precedenti, anche se la povertà è molto estesa e le risorse non bastano mai. La rabbia però si attenua solo se c’è una meta comune, una speranza di futuro, alimentata da progetti per la ripresa. E poi bisognerà rivedere i meccanismi di redistribuzione della ricchezza perché altrimenti le nostre democrazie non reggeranno. È vero che Amazon – è solo un esempio – assume molte migliaia di persone, ma a parte qualche centinaio di dirigenti ben pagati, gli altri hanno mansioni e salari bassissimi: non sono persone alla catena di montaggio, ma costituiscono esse stesse la catena di montaggio e con meno tutele”.
Quanto teme che i sovranisti di Polonia e Ungheria possano condizionare la partita del Recovery?
“Possono ritardare e provocare disagi, in parte lo hanno già fatto, ma non sono la Gran Bretagna. Se insistono troppo verranno emarginati e loro non possono certo permetterselo”.
Come vive questa seconda ondata del virus, professore?
“Come la prima. Ero triste allora come oggi – sorride -. Solo un po’ più rassegnato. Mi sono convinto che sia ancora più necessario di allora essere severi. Il virus è un nemico forte che si sconfigge con misure forti“.
Ma lei si vaccinerà?
“So bene quanto il vaccino contro la Poliomielite abbia cambiato il destino della mia generazione. Quindi non solo farò il vaccino anti Covid ma, per mettere le mani avanti, ho già fatto l’anti influenzale, anti pneumococco e persino quello anti herpes”.
E che Natale si aspetta, mentre scende la prima neve su Bologna?
“Credo che dovremo rassegnarci all’idea che a messa si può andare anche alle 21. E invece di guardarci in faccia gli auguri ce li faremo davanti a uno schermo. Io chiamerò i miei figli, i miei nipoti, i miei fratelli. Ma il brindisi, quest’ anno, lo farò soltanto con mia moglie”.