Prezzo del petrolio e tassi: senza una guida non si va da nessuna parte
Tra petrolio e tassi
L’economia mondiale non ha più una bussola
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 14 febbraio 2016
Le analisi sugli avvenimenti economici degli ultimi giorni arrivano a conclusioni paradossali. I fatti che fino a poche settimane fa erano ritenuti elementi chiave per la ripresa dell’economia mondiale sono oggi accusati di essere la causa della sua stagnazione.
Mi riferisco al crollo del prezzo del petrolio e alla politica di abbassamento dei tassi di interesse adottata dalle principali banche centrali.
Le interpretazioni ottimistiche che venivano dedicate a questi due importanti eventi avevano serie fondamenta. Il crollo del prezzo del petrolio favoriva infatti la quasi totalità dei paesi industrializzati mentre toglieva potere d’acquisto ai paesi esportatori. Molti di questi, come l’Arabia Saudita e i paesi del Golfo, godevano infatti di tali surplus di denaro che una diminuzione del prezzo del petrolio non avrebbe sostanzialmente mutato il loro contributo alla domanda mondiale.
Non si prevedeva allora che Il crollo dei prezzi sarebbe andato così avanti e sarebbe durato così a lungo da mettere in difficoltà un numero crescente di paesi produttori. Non solo è crollata la loro domanda interna, come il caso della Russia, ma ci troviamo di fronte ad un ritorno a casa di una considerevole parte dei capitali che molti dei paesi produttori avevano investito nelle piazze di tutto il mondo. Dall’ottimismo al pessimismo nel breve spazio di un mattino.
Lo stesso cambiamento di scenario è avvenuto riguardo all’abbassamento dei tassi di interesse da parte delle banche centrali. La comune opinione (anch’essa del tutto ragionevole) era che questa politica di “denaro facile” avrebbe favorito consumi e investimenti, preparando in questo modo un aumento generalizzato dello sviluppo. Personalmente penso che, almeno nel caso europeo, questa decisione abbia, almeno in una prima fase, funzionato correttamente. Essa ha certamente evitato all’economia del nostro continente di avvitarsi nella crisi in cui stava precipitando.
Questa politica di abbassamento del tasso di interesse porta tuttavia come conseguenza la svalutazione della moneta del paese che l’adotta, favorendone quindi le esportazioni. Non dobbiamo perciò stupirci che, in mancanza di una regolazione globale dei sistemi finanziari, essa sia stata seguita da tutte le principali banche centrali. Si è diffusa quindi la sensazione di essere di fronte alla prospettiva di una svalutazione competitiva tra i grandi sistemi economici. Questa paura è stata momentaneamente interrotta quando la Riserva Federale degli Stati Uniti, visto il buon andamento della sua economia, ha iniziato un cambiamento di rotta, non solo innalzando il tasso di riferimento ma facendo capire che la politica di aumento dei tassi sarebbe proseguita a lungo. Nelle ultime settimane, di fronte a una situazione economica in peggioramento, è stato invece diffuso il messaggio contrario, che cioè gli Stati Uniti sarebbero probabilmente ritornati alla politica del denaro facile.
Un elemento di disorientamento che ha finito col mettere in fibrillazione i diversi sistemi bancari, dato che la prospettiva di avere tassi di interesse tendenti allo zero o addirittura negativi per lungo tempo avrebbe fatto precipitare i profitti futuri delle banche stesse. Le azioni delle banche hanno quindi cominciato a cadere in tutto il mondo e a precipitare in Europa perché alle deboli prospettive di profitto si è aggiunta la messa in atto della nuova politica di salvataggio interno (il così detto bail-in) per cui azionisti, obbligazionisti e grandi depositanti sono chiamati a sostenere il peso di un eventuale fallimento della banca.
Tutti questi avvenimenti portano ad una sola conclusione: l’economia mondiale è senza una linea di rotta e senza un quadro di comando. Le banche centrali hanno fatto quello che potevano ma non possono sostituire le decisioni dei governi, che continuano a procedere in modo sparso.
Ci resta solo da sperare che questo indilazionabile obiettivo di un coordinamento tra le politiche economiche dei diversi governi cominci ad essere affrontato in modo concreto nella conferenza dei ministri delle finanze dei G20 che si svolgerà fra quindici giorni a Pechino.
Quest’incontro avviene nel momento più opportuno perché tutti si stanno accorgendo che l’attuale strategia porta male: la crescita americana rallenta, la ripresa europea è solo un pallido fantasma, la Cina frena e la Russia e gli altri produttori di petrolio continuano a soffrire.
È ormai chiaro che l’uso strumentale del prezzo del petrolio e delle politiche monetarie non porta da nessuna parte: speriamo che anche i G20 se ne rendano conto. Non vi sono elementi concreti per ritenere che questo avvenga ma la speranza è sempre l’ultima a morire.
Per ora accontentiamoci delle uniche buone notizie che ci vengono dalla pur fragile e parziale prospettiva di tregua in Siria e dall’abbraccio fra Francesco e Kirill a Cuba. Sono segnali che il filo del dialogo non è del tutto spezzato e si può sempre riannodare.