Una nuova politica industriale per un futuro sostenibile
Errori da evitare/La strada in salita per la svolta ecologica
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 11 aprile 2021
È molto bello, e anche molto positivo, che una notevole parte delle risorse del NextGenerationEU sia stata indirizzata dalle autorità europee a rendere più vivibile il nostro pianeta. Si tratta di una missione nella quale il ruolo di guida è sempre stato assunto dall’Unione Europea. Ricordo solo che il primo grande accordo per la protezione dell’ambiente, il cosiddetto Protocollo di Kyoto, è entrato in vigore nel febbraio del 2005, unicamente come conseguenza di una lunga battaglia della Commissione, nonostante il voto contrario della Cina e degli Stati Uniti.
Oggi, dopo che ben pochi degli obiettivi concordati in passato in tanti solenni summit sono stati raggiunti, la politica ambientale sembra essere l’unico punto di convergenza fra le grandi potenze del pianeta che, per il resto, litigano su tutto.
In questo settore, l’Unione Europea si è posta ancora una volta all’avanguardia, imponendosi di arrivare alla “neutralità carbonica“, cioè di non contribuire più all’aumento delle emissioni di gas serra, in un numero di anni minore rispetto agli altri paesi.
Una bellissima sfida che, ovviamente, implica non solo un grande impiego di risorse, ma un ritmo di progresso tecnologico superiore rispetto a chi si pone obiettivi meno ambiziosi dei nostri. Pur essendo anche noi europei responsabili dell’inquinamento del pianeta, vi contribuiamo solo per il 7-8%, contro circa il 15% degli Stati Uniti e il 28% della Cina (dati pre -pandemia).
Dato che il pianeta è uno solo e che le emissioni, come il virus, non conoscono confini, è chiaro che, affinché l’Europa sia in in grado di mettere in atto i coraggiosi obiettivi programmati, la Cina e gli Stati Uniti debbono porsi obiettivi simili ai nostri. Se questo non avviene, noi europei dobbiamo raggiungere livelli di efficienza tali da coprire gli enormi costi aggiuntivi necessari a centrare gli obiettivi di neutralità carbonica nei tempi che ci siamo proposti.
Voglio essere più esplicito: non possiamo commettere l’errore, compiuto in passato, di incentivare con cifre veramente cospicue la produzione di energia elettrica tramite il vento e il sole, lasciando poi alla Cina il totale dominio tecnologico e produttivo (70%) dell’enorme mercato mondiale dei pannelli solari.
Un errore di questo tipo, allargato a tutti i settori che producono gas-serra, sarebbe semplicemente tragico. Ricordiamo infatti che l’inquinamento è originato dalla produzione di energia elettrica solo per il 27%, mentre oltre il 30% deriva dalle produzioni industriali, (cominciando dall’acciaio e dal cemento), per il 19% dal settore agricolo, il 16% dai trasporti e il restante dagli usi domestici.
Combattere l’inquinamento e i cambiamenti climatici significa oggi non solo risparmiare energia, ma cambiare radicalmente il modo con cui si fanno le cose. Significa rivoluzionare tutti i settori produttivi.
Ponendoci il doveroso e nobile obiettivo di arrivare più presto degli altri al raggiungimento della “neutralità carbonica” in tutti questi settori, dobbiamo evidentemente affrontare, almeno per i prossimi due decenni, consistenti costi aggiuntivi (che nel linguaggio internazionale vengono graziosamente chiamati Green Premium) che renderebbero non più competitive le nostre produzioni. I nostri obiettivi sono quindi raggiungibili solo con un primato tecnologico e scientifico che, almeno in parte, l’Europa ha potuto difendere esclusivamente nel settore eolico.
Secondo il parere di tutti i seri analisti internazionali, compresi quelli più strettamente legati alle politiche liberiste, tutto questo richiede una nuova politica pubblica, rivolta da un lato a indirizzare enormi risorse nell’accelerare il progresso tecnologico e, dall’altro, a imporre corpose tasse sull’uso del carbone, in modo da rendere economicamente possibile la necessaria transizione.
Credo quindi che, se le risorse opportunamente dedicate dal NextGenerationUE all’ambiente non verranno accompagnate da una politica di armonizzazione anche fiscale con gli altri protagonisti del pianeta e da una politica industriale che mobiliti con uno sforzo senza precedenti tutti i paesi europei, la svolta verde sia destinata a fallire, come è fallita in passato. Capisco la difficoltà di realizzare tutto questo in un mondo in cui l’anidride carbonica ha fatto ricchi i paesi ricchi, mentre i paesi poveri non hanno oggi alternative per diventare ricchi. Non vedo tuttavia strade diverse.
Naturalmente, in questa grande necessaria rivoluzione, bisogna trovare il posto appropriato per una politica italiana.
Mentre da un lato non possiamo permetterci di adottare tecnologie che getterebbero immediatamente le nostre imprese fuori mercato, senza alcun sostanziale contributo a migliorare gli equilibri del pianeta, dobbiamo dall’altro concentrarci nell’elaborare una politica industriale che ci garantisca un ruolo attivo e compatibile con le nostre risorse.
Abbiamo già compromesso la presenza italiana nel settore delle batterie, quando due anni fa non ci siamo nemmeno presentati alla riunione che ha deciso la politica europea del settore, con la conseguenza che le nuove imprese si sono localizzate in Francia e Germania.
Di fronte alla necessaria rivoluzione energetica, l’Italia non può quindi proporsi solo con i pur lodevoli progetti di privilegiare l’uso di tecnologie che divorano meno energia, come l’opportuna incentivazione della ferrovia rispetto alla strada, ma deve decidere in quale dei nuovi settori concentrare le risorse per assumere finalmente il ruolo che le spetta a livello europeo e mondiale.
Questo deve avvenire sia che si tratti di rendere competitiva la produzione dell’idrogeno verde, sia che si tratti delle rivoluzioni in corso nel condizionamento e nel riscaldamento domestico, sia che si debbano mettere in atto le sperimentazioni necessarie per rivoluzionare i modelli produttivi della grande parte del nostro sistema industriale.
È vero che siamo in emergenza, ma non possiamo pensare solo all’emergenza. È arrivato il tempo di preparare finalmente una politica industriale per evitare che i grandi, necessari e benvenuti obiettivi verdi, non trasformino il nostro sistema industriale in un prato verde.