Da Draghi a Lagarde, mentre la Germania è in difficoltà
L’era Lagarde: le incognite del dopo Draghi e le debolezze della Germania
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 27 ottobre 2019
Domani, nel grattacielo di Francoforte si celebrerà, con una solenne cerimonia, il saluto di Draghi alla Presidenza della Banca Centrale Europea. Una presidenza lunga otto anni, durante la quale la BCE ha assunto un ruolo assolutamente innovativo nella politica europea. Draghi non ha mediato, non ha ricercato il consenso, come solitamente fanno i banchieri centrali, ma si è posto un unico obiettivo: salvare l’Euro. Il suo lavoro è iniziato il 1 novembre del 2011 quando la crisi finanziaria metteva a rischio la giovane moneta comune e la speculazione internazionale pensava che la difesa dell’Euro sarebbe stata inefficace perché guidata da istituzioni deboli.
Nel luglio del 2012, solo pochi mesi dopo l’insediamento, Draghi ha sintetizzato il suo programma in tre parole divenute ormai famose. Parlando della strategia in difesa dell’Euro ha detto che avrebbe fatto “whatever it takes“: avrebbe usato tutti gli strumenti possibili per salvare l’Euro e per aiutare l’Europa ad uscire dalla difficile congiuntura. Il programma è stato messo in atto con tutti gli strumenti a disposizione della banca centrale, cioè l’adozione di bassi tassi di interesse e di un corposo acquisto dei titoli pubblici. Il tutto per stimolare la ripresa e alleggerire la pressione speculativa sui titoli di stato dei diversi paesi, garantendo un certo equilibrio fra i loro rendimenti.
Decisioni politiche che hanno provocato una dura reazione da parte tedesca, che ha più volte accusato Draghi di andare oltre i limiti dello statuto della BCE per favorire i paesi del Sud Europa ed in primo luogo l’Italia: un’accusa che è stata ritenuta infondata dalla Corte di Giustizia europea e dalla stessa Corte Costituzionale tedesca.
Il vero problema è che, come abbiamo più volte ripetuto, la politica di austerità portata avanti dal Consiglio Europeo sotto la guida germanica non poteva che aggravare la situazione economica di un continente ferito dalla crisi. Di qui sono nate le decisioni della BCE di diminuire progressivamente i tassi di interesse, abbassati per ben otto volte.
È evidente che una politica di bassi tassi non poteva essere da sola sufficiente per una ripresa dello sviluppo, ma è certo che ha almeno evitato una grave depressione, lanciando il messaggio che vi era almeno qualcuno in Europa che lavorava per la ripresa.
Il recente peggioramento dell’economia europea ha spinto Draghi a confermare, anche negli ultimi giorni del suo mandato, la politica dei bassi tassi e a riprendere, pur in scala minore, l’acquisto di titoli pubblici. Una politica che non potrà però durare all’infinito e a cui Draghi stesso avrebbe posto fine se l’economia europea avesse ripreso a crescere e il tasso di inflazione avesse raggiunto almeno il 2%. È infatti largamente condiviso che un’economia a tassi zero, o negativi, non possa durare all’infinito. Anche se ne sono felici i debitori (siano essi gli Stati o i privati cittadini) non lo sono certo i risparmiatori, che vedono diminuire il valore dei propri risparmi. E non lo sono le banche o le assicurazioni che subiscono il crollo dei propri profitti.
La signora Lagarde, che il prossimo primo novembre prenderà il posto di Draghi, si troverà quindi a capo di un’istituzione resa forte e prestigiosa ma anch’essa, come Draghi, dovrà fare conto sul fatto che la politica monetaria da sola non è in grado di guidare l’economia verso la crescita. È infatti scritto in tutti i manuali che gli strumenti monetari e fiscali, per essere efficaci, debbono operare insieme.
Ella dovrà tuttavia tenere conto del fatto che, per quanto possiamo vedere dagli ultimi avvenimenti, il rafforzamento delle altre istituzioni europee non è certo imminente.
Il confronto fra il Parlamento e la Commissione Europea, non ancora entrata in carica, è durissimo e senza esclusione di colpi. Sono stati già bocciati tre commissari mettendo in croce la futura Presidente della Commissione prima che abbia cominciato il suo lavoro. Ed è evidente che non si tratta di operazioni indirizzate contro i poveri Commissari, ma contro i governi che hanno imposto la candidata al vertice della Commissione senza tenere conto delle indicazioni del Parlamento. Nessuna meraviglia tuttavia: si tratta di una classica guerra del Parlamento che, privo ancora di adeguati poteri, utilizza quelli che ha per rafforzare le proprie prerogative. Penso che questo braccio di ferro troverà un accomodamento con un Parlamento un poco più forte anche se ancora lontano dalle prerogative che gli spettano.
La Banca Centrale Europea continuerà quindi a ricoprire un grande ruolo, ma dovrà convivere anche con la grande solitudine già esperimentata da Draghi. L’unico possibile cambiamento nel breve periodo sta nel fatto che, per effetto della crisi del commercio internazionale, la congiuntura tedesca è ora così cattiva che l’austerità non è più l’unico punto di riferimento della politica germanica. Sotto quest’aspetto la BCE sarà un po’ meno sola. A volte anche le disgrazie possono avere effetti positivi.