Migranti: riformare la Convenzione di Dublino e creare un coordinamento fra Europa, USA e Russia
Il dialogo che serve – I nuovi flussi di migranti: un problema per tutta la Ue
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 25 luglio 2021
Da oltre vent’anni le migrazioni costituiscono uno dei problemi più importanti, se non il più importante, della politica interna di ogni paese europeo. La così detta convenzione di Dublino, che affronta la realtà migratoria, è stata firmata quando il diritto d’asilo e la protezione internazionale non erano così prioritari. Essa si limita quindi a imporre solo sulle spalle del paese di arrivo l’obbligo dell’assistenza dei migranti sul suolo europeo. Da allora nulla è cambiato nella legislazione, mentre tutto è cambiato nella realtà delle cose.
Il flusso dei migranti dal sud è progressivamente cresciuto e le guerre di Iraq e Siria ne hanno moltiplicato l’arrivo sulle coste italiane, greche e spagnole, mentre la sciagurata guerra di Libia ha aumentato il numero di trafficanti che lucrano sul commercio umano, con le autorità libiche che si dimostrano impotenti a controllare il fenomeno, quando addirittura non hanno partecipato a favorirlo.
Da qui la continua crescita dei flussi migratori, il perpetuarsi delle quotidiane tragedie umane, il crescente ruolo dei trafficanti e l’impotenza della politica.
Solo la Germania, dopo una drammatica emergenza, ha potuto arginare i siriani e gli iracheni in fuga dal loro paese, ottenendo che essi fossero, e tuttora siano, bloccati dalla Turchia in cambio di cospicui versamenti di denaro.
Questa asimmetria di situazioni fra paesi del sud e paesi del nord Europa ha sempre impedito la necessaria revisione della convenzione di Dublino, moltiplicando i problemi politici, economici e sociali di tutte le nazioni del Mediterraneo e minando profondamente il concetto di solidarietà europea.
In questo campo così delicato non si è assistito, almeno fino ad ora, ad alcun sostanziale miglioramento, nonostante le ripetute proposte della Commissione e del Parlamento Europeo.
Mentre la situazione libica rimane ancora piena di incertezze, la crescita demografica, le difficoltà economiche e l’avanzata del terrorismo in tutto il Sahel (con prospettive davvero drammatiche) spingono ad un progressivo aumento del numero di disperati in fuga verso l’Europa.
Disperati che non arrivano solo dai paesi a Sud del Sahara, perché ad essi si sono aggiunti, e si aggiungono ancora, rifugiati provenienti dal Corno d’Africa, da diversi paesi asiatici, oltre che, naturalmente, dalla Siria e dall’Iraq.
Il quadro si sta ulteriormente complicando da quando il governo americano ha deciso il ritiro delle sue truppe dall’Afghanistan, dove i talebani stanno riprendendo il possesso del territorio con una rapidità fulminea, dichiarando addirittura di controllare il 90% delle frontiere del paese.
Il ministro afgano Noor Rahman Akhlaqi ha messo in allarme l’opinione pubblica mondiale affermando che il numero di rifugiati supera già i due milioni, mentre le feroci vendette dei talebani contro coloro che in modo diretto o indiretto hanno collaborato con gli americani o con le altre truppe presenti nel territorio, stanno obbligando alla fuga immediata altre migliaia di persone.
In questo marasma si inserisce la tensione fra la Bielorussia e l’Unione Europea, approfittando della quale il dittatore Lukashenko ha spinto verso i paesi baltici europei centinaia di profughi mediorientali e asiatici, dopo avere incoraggiato il loro arrivo con voli diretti da Bagdad e Istambul, sembra dietro il modesto pagamento di 15 mila euro a testa.
Siamo arrivati al punto in cui il governo della Lituania ha stanziato 41 milioni di Euro per costruire una barriera di filo spinato lungo i 687 chilometri di confine con la Bielorussia.
Dopo Ungheria e Bulgaria, l’Europa sembra essere in grado di affrontare i problemi delle migrazioni solo con i muri e le barriere materiali. Il fatto che il problema delle migrazioni tocchi anche i paesi del nord Europa e, in qualche modo, anche gli Stati Uniti e un paese strettamente legato alla Russia come la Bielorussia, non può non cambiare il quadro.
Dal punto di vista umanitario non cambia nulla: il problema semplicemente si aggrava. Dal punto di vista politico siamo invece di fronte a un salto di qualità. In teoria dovrebbero essere le Nazioni Unite a prendersi carico di una regolamentazione globale di un problema che coinvolge così profondamente la comunità mondiale.
Nella realtà dei fatti questo è reso impossibile dalla natura stessa del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Dobbiamo quindi accontentarci del prezioso e insostituibile lavoro dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) nella sua elevata missione di alleviare drammi e sofferenze.
Un più concreto realismo dovrebbe invece spingere a trarre le conclusioni di questi ultimi avvenimenti con una doppia decisione. In primo luogo sarebbe utile aprire un colloquio fra Unione Europea, Stati Uniti e Russia sullo specifico e limitato problema delle migrazioni collegate all’instabilità del Medio Oriente, soprattutto in conseguenza della fine della guerra in Afghanistan.
Nonostante tutte le tensioni in corso non è infatti interesse di nessuno accrescere i conflitti esistenti creandone uno aggiuntivo su un tema che porta solo danni a tutti i contendenti.
In secondo luogo i nuovi flussi di migranti dimostrano ai paesi del nord Europa che il problema migratorio non interessa solo il Mediterraneo ma, pur con modalità e caratteristiche diverse, è un dramma che danneggia e destabilizza tutti e che va quindi risolto in modo concordato.
La realtà dei fatti obbliga cioè a riconoscere che una revisione della convenzione di Dublino non interessa solo noi meridionali, ma tutti i membri dell’Unione.
Anche se non riguarda solo il problema migratorio, sarebbe infine doveroso riesaminare le modalità con le quali si è finora svolta la lotta contro il terrorismo: le azioni prevalentemente militari, come quelle che sono state messe in atto fino ad ora, hanno sostanzialmente fallito.