Il governo ora punta a prendersi tutto, questo è autoritarismo
Romano Prodi: “Il governo ora punta a prendersi tutto, questo è autoritarismo”
L’ex premier: «L’informazione si sta trasformando da duopolio in monopolio. La vittoria alle comunali? La destra sa governare meglio di altri le paure»
Intervista di Fabio Martini a Romano Prodi su La Stampa del 31 maggio 2023
Romano Prodi è meno levigato del solito, sceglie parole severe, forse mai così secche negli ultimi 10 anni: “In questi giorni sono emersi due segnali nuovi che non si debbono sottovalutare. Nessuno ha ragionato su un sistema informativo che dopo decenni di duopolio si sta trasformando in un monopolio della destra. E al tempo stesso sta emergendo la tentazione di escludere il presidente Stefano Bonaccini dalla ricostruzione in Emilia-Romagna. Ma così siamo davanti ad un governo che punta a prendersi tutto. C’è una parola semplice che riassume tutto questo: autoritarismo. Così si sta cambiando la natura del Paese”
Con i suoi standard di crescita l’ Italia se la cava meglio degli altri grandi Paesi europei, ma istituzioni tra loro diverse (Commissione europea, Fondo monetario, Banca d’Italia) tengono alta la vigilanza. Siamo dentro una bolla? O sarebbe proprio il momento giusto per mettere a reddito i discreti segnali con una politica economica degna di questo nome?
“Certo che se la cava, ma stiamo attenti a non esagerare. Abbiamo un rimbalzo un po’ più forte da una caduta molto più violenta e la palla è rimbalzata un po’ più in alto. Tuttavia gli ultimissimi dati, riferiti all’export, non sono consolanti. Nei riguardi dell’analisi della nostra economia c’è infatti una certa fragilità da parte dei commentatori italiani, professori e politici compresi, che esaltano sempre il presente senza guardare al lungo periodo.”
Come giudica la politica del governo anche alla luce delle trattative con Bruxelles sui dossier fondamentali, nuovo patto di Stabilità, Pnrr, Mes?Tenere a bordo tavolo la ratifica del Mes è un’arma utile, o può esplodere in mano?
“Sui dossier fondamentali il governo ha impostato le cose in modo da minimizzare il rischio, affidando il Ministero degli Esteri al più americano della coalizione e il Ministero dell’Economia al più bruxellese. Su questo non aveva alternative. Su tutto il resto i partiti della coalizione si stanno dividendo il bottino, litigando tra loro. Questo contrasto emerge anche riguardo al Mes. D’altra parte quando non si vuole un provvedimento, che nel peggiore dei casi è a danno zero, significa che lo si vuol tenere solo come un’arma contrattuale. In questo caso non mi sembra però un’arma efficace, mi sembra solo un corpo urticante, capace unicamente di irritare. Quanto al PNRR era nato per aumentare la pigra produttività del Paese, grazie ad un mix di grandi riforme e grandi investimenti. Le riforme non ci sono e gli investimenti, bene che vada, si stanno spargendo in tanti rivoli, certamente inadatti ad aumentare la produttività.”
In questi giorni la questione del Commissario alla ricostruzione in Emilia rischia di trasformarsi nella consueta contesa Guelfi-Ghibellini….
“Vicenda incomprensibile che rischia di concludersi con un enorme autogol per il centrodestra. In una tragedia come questa, chi altro può fare il Commissario se non un presidente di Regione che gode di una incontestata fiducia? Un presidente che ha rapporti diretti con i sindaci, con i prefetti, che conosce tutti i tecnici e a cui la catena burocratica regionale risponde. Bonaccini ha inoltre già dato prova di saper gestire la ricostruzione dopo il terremoto: uno dei pochi casi nei quali nessuno ha avuto nulla da ridire”.
Nella telenovela Rai, siamo dentro alla solita storia? La lottizzazione è nel Dna aziendale?
“Ho convissuto benissimo con un diversi presidenti della Rai, ognuno con le sue caratteristiche e i suoi caratteri perché ho sempre pensato che i presidenti Rai debbano godere della loro autonomia. Ora siamo di fronte ad un cambiamento radicale. Si tratta prima di tutto dell’azzeramento totale e dell’innesto solo di persone di stretta fiducia. Tuttavia non è la sola novità. In passato, anche quando vi erano governi di centro sinistra, vi era un grande equilibrio nei telegiornali. Mentre nel commento politico comandava il “Vespone”. L’Osservatorio di Pavia ci dice che nei telegiornali lo spazio dedicato al governo è 4 volte superiore a quello dell’opposizione. Il grande cambiamento è che oggi il mercato è diverso da allora: Rai e Mediaset avevano ciascuno una quota superiore al 45% del mercato, quindi prevaleva anche allora la destra, ma in modo non totalitario. Oggi, sommando Rai e Mediaset, stiamo marciando verso un’assoluta omogeneità dell’informazione televisiva. Già allora vi era un duopolio zoppo, oggi vi è un monopolio assoluto. Il pluralismo, se ci sarà, non potrà che essere confinato su reti con minore ascolto. Certo ci sono i nuovi media, ma il messaggio che più influisce sull’elettorato è quello televisivo”
La netta vittoria della destra alle Comunali si spiega sul territorio o con l’aria che tira?
“C’è un sentimento che sta guidando le opinioni pubbliche in tutto il mondo. La paura. Per la guerra. Per i migranti. La destra ha sempre saputo governare bene e meglio di altri, questi sentimenti. Una paura che finisce per coinvolgere anche temi più condivisi, come la battaglia per l’ ambiente”.
Dopo 100 giorni era naturale aspettarsi un effetto-Schlein: c’è stato ma al contrario?
“Il cattivo risultato, in queste pur limitate elezioni, è un segnale allarmante che oltretutto spingerà la destra ad aumentare la “presa” sul Paese”.
Il Capo dello Stato ha usato parole severe, alludendo alle contestazioni al Salone del libro alla ministra Roccella e in quella occasione Schlein aveva definito autoritaria la protesta del governo; non pensa che il settarismo sia il pericolo più serio del nuovo corso Pd?
“E’ stato un autogol. Istintivamente si può pensare che quelli erano dei “ragazzotti”, ma questo non giustifica nulla. Si doveva dire che una contestazione di quel tipo è inammissibile. Poi, semmai, ti occupi dei ragazzi.”
Da dove si riparte per il centro sinistra?
“Verona e Vicenza ce lo insegnano: ci deve essere un rinnovamento nella cultura di governo che vale a livello locale come a livello nazionale. Un’idea di comunità, di attenzione ai quartieri, alle aggregazioni. Un riformismo che non si limiti a presentare dei Ddl in Parlamento, ma che mobiliti il Paese su cose concrete: salario minimo, disparità, casa, salute, scuola, pannelli fotovoltaici sui tetti e non sui campi, una nuova attenzione al territorio. Un nuovo riformismo dovrebbe essere persino facile quando un primo ministro arriva a dire che pagare le tasse è come pagare il pizzo. Quando ho sentito questa frase ho capito che si tratta di un programma facilmente contrastabile con una minima intelligenza politica.”