Europa a due velocità: ora o mai!
Europa a due velocità, ora o mai
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 01 giugno 2024
Non è mai facile fare previsioni sull’andamento delle elezioni. L’impresa è ancora più difficile quando si tratta di una consultazione che coinvolge ventisette paesi, ognuno dei quali con diverse sensibilità e particolari problemi. E’ tuttavia molto probabile che il prossimo Parlamento europeo troverà la sua maggioranza solo rinnovando una coalizione fondata sull’accordo fra popolari, socialisti e liberali, anche se la somma dei loro voti non sarà sufficiente per raggiungere la maggioranza dei seggi parlamentari. Si dovranno quindi aggiungere altri consensi. Questo obiettivo sarà reso più complesso dai veti incrociati che si sono ulteriormente accentuati in questi ultimi giorni di campagna elettorale. Al quadro si aggiunge un probabile rafforzamento dei partiti euroscettici ed europessimisti, a loro volta divisi per la varietà degli obiettivi e l’intensità dei veti, anche se ormai nessuno, dopo il fallimento della Brexit, si schiera per l’uscita dall’Unione Europea.
In questo contesto la possibilità di raccogliere i consensi sufficienti per la conferma di Ursula von der Leyen come presidente della Commissione, pur rimanendo l’ipotesi più accreditata, è ovviamente diminuita, così come è fortemente aumentata la probabilità di assistere a lunghe (forse molto lunghe) trattative per eliminare veti e incompatibilità. Per quanto riguarda i partiti italiani, l’interesse maggiore si riferisce a FdI. La presidente Meloni ha infatti, per lunghi mesi, costruito una forte alleanza con von der Leyen, ipotizzando quindi un possibile avvicinamento al Partito popolare, ma ha visibilmente cambiato direzione nelle ultime settimane, fino a riavvicinarsi al suo tradizionale schieramento euroscettico e conservatore, come è apparso nel recente incontro organizzato da Vox, l’estrema destra spagnola.
Questa evoluzione e il veto dei socialisti nei confronti di una possibile alleanza con la destra, rendono naturalmente più difficile l’accordo fra FdI e i popolari, anche se la decisione finale dipenderà dai risultati elettorali e dall’ipotesi che i veti si mantengano nel corso delle probabili lunghe trattative.
Tutte queste considerazioni sono certo importanti, ma molto di più lo è riflettere sulle scelte, anzi sull’unica scelta, che l’Unione Europea dovrà fare se vuole finalmente assumere un ruolo significativo in un mondo che vede l’Europa sempre più irrilevante, come una noce schiacciata tra Stati Uniti e Cina.
Nella legislatura che sta per terminare, l’Unione Europea è stata infatti in grado di affrontare con successo la lotta contro la Pandemia, di apprestare un temporaneo, ma importante programma di solidarietà economica con il PNRR e di presentarsi sostanzialmente unita nel proteggere l’Ucraina, dimostrandosi così capace di custodire i suoi cittadini nelle grandi emergenze. Non sono risultati di poco conto, ma non certo sufficienti per invertire la nostra perdita di ruolo nell’ambito della politica e dell’economia internazionale.
Tutto questo non in conseguenza della nostra oggettiva debolezza. Rimaniamo infatti la seconda potenza industriale e il primo esportatore del mondo, ma le nostre istituzioni non ci permettono di assumere le necessarie decisioni. Il diritto di veto dei singoli stati ci impedisce di essere presenti nella politica estera, di costruire un elementare sistema di difesa, pur con un una spesa militare complessiva che supera di molte volte quella russa e si avvicina a quella cinese. E ci confina ad una politica commerciale che non riesce a reagire in modo unitario di fronte all’aggressività cinese e al protezionismo americano.
E’ inutile girare attorno ai problemi. Se vogliamo esistere dobbiamo abolire il diritto di veto e, nell’attesa di porre in atto il lungo, ma necessario processo di riforma dei trattati, non vi è altra scelta che procedere con un’Europa a più velocità come abbiamo fatto con grande successo per l’Euro. Siamo infatti partiti in dodici paesi e ora siamo venti, con la prospettiva di avere nuovi aderenti alla moneta unica anche in un prossimo futuro.
Non è pensabile che l’Europa abbia perduto qualsiasi influenza nel Mediterraneo, che in Siria e in Libia comandino la Russia e la Turchia. E non è credibile che non si possa costruire una strategia industriale nei nuovi settori, a partire dall’automobile elettrica e dai semiconduttori, perché non si riescono a comporre gli interessi diversi esistenti fra la Germania e gli altri paesi.
La politica della mediazione passiva non è più perseguibile in un mondo ormai diviso in blocchi tra di loro contrapposti, come risulta evidente dalla nostra assenza in tutti i tentativi di composizione della guerra di Ucraina e del conflitto tra Israele e Palestina.
Quanto detto per la politica estera vale per tutti i campi che decidono il nostro futuro, dall’ambiente alla politica sociale, dall’unione bancaria a una strategia industriale comune.
Naturalmente in ognuno di questi settori saranno necessari complicati accordi e compromessi per prendere decisioni condivise, ma il compito prioritario della prossima legislatura sarà quello di mettere l’Unione Europea in grado di prendere decisioni. Questa è la regola fondamentale per il funzionamento di ogni democrazia.
E’ evidente che il complicato posizionamento dei partiti europei rende difficile una decisione così radicale, ma siamo arrivati al punto in cui un serio radicalismo è necessario per la sopravvivenza. Ed è anche possibile perché, a scapito di tutte le dichiarazioni, nessun paese si può permettere di uscire dall’Unione. Può solo permettersi di rimanere periferico.
Nelle prossime elezioni il cittadino dovrà quindi scegliere di votare per i partiti che concepiscono l’Europa come un vero centro decisionale e non come un’enorme periferia. Il resto verrà dopo.