Proseguire il cammino delle riforme finchè il maledetto spread non tenderà a zero

L’Italia e la crescita. Pareggio di bilancio inutile favore a Berlino

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 27 aprile 2014

Quando nel 2007 scoppiò la crisi economica si comprese subito che essa sarebbe stata grave e sarebbe durata a lungo. Nessuno si illudeva del contrario. Tuttavia, nonostante il peso del debito pubblico del nostro paese, pensavo che l’Italia ne sarebbe stata meno toccata, sia perché la crisi era partita dagli Stati Uniti, sia perché la comune opinione faceva giustamente ritenere che il nostro sistema bancario fosse relativamente più robusto di quello americano e di quello degli altri paesi europei, non essendo imbottito dei così detti titoli tossici ( derivati e subprime) che erano stati la causa scatenante della crisi.

Eravamo infatti rassicurati dal fatto che le nostre banche si sentivano ben protette dalla rete di buoni del Tesoro in loro possesso. Anche quando è scoppiato il caso eravamo rassicurati dal fatto che, mentre le banche tedesche e francesi erano creditrici dal sistema greco nell’ordine di centinaia di miliardi di euro, i nostri istituti bancari lo erano solo per una decina.

La crisi greca mostrò invece che non eravamo tutti uguali e che la solidarietà europea era stata costruita solo sulla carta.

In poche settimane le banche tedesche e francesi (comprese quelle che abbondantemente guadagnavano e tuttora guadagnano nel mercato italiano) si sono precipitate a vendere i nostri titoli pubblici in loro possesso, spingendo ovviamente tutti gli altri a fare altrettanto.

Esse hanno improvvisamente trasformato i buoni del Tesoro italiani in pericolosi “derivati” anche se vendere questi titoli equivaleva a scommettere sulla bancarotta italiana. L’esempio francese e tedesco è stato ovviamente subito seguito da parte di tutti gli altri operatori, cominciando dagli americani.Nuovo

Per fugare queste paure siamo stati costretti ad adottare le politiche restrittive che hanno sensibilmente abbassato i tassi di interesse del nostro debito ma che ci hanno impedito ogni possibilità di crescita, relegandoci ad essere il permanente fanalino di coda tra i grandi paesi europei. Ci si è poi finalmente accorti che, col crollo dell’otto per cento del nostro PIL e con una crescita sotto zero della nostra economia, il debito italiano sarebbe sempre cresciuto. Nonostante questo, dato che gli impulsi suicidi sono lenti a morire, abbiamo voluto mettere addirittura nella carta costituzionale il pareggio del bilancio della nostra economia.

Un favore politico per chi comanda a Berlino ma un assurdo logico perché non si mettono in costituzione obiettivi che dipendono anche da eventi che non sono sotto il nostro controllo.

Tutta questa ginnastica finora ci è servita ben poco perché continuiamo a perdere peso non solo nei confronti della Germania ma anche dei paesi che avevano accettato l’aiuto della Troika, che certo poteva sembrare un’umiliazione ma che offriva loro almeno l’ombrello

che ha permesso alle banche di diversi paesi, che stavano in media molto peggio delle nostre, di riprendere il loro mestiere, che è quello di prestare denaro alle famiglie e alle imprese.

Nonostante ciò abbiamo un sistema industriale che tiene e abbiamo (a differenza della Francia) una bilancia commerciale in attivo. Fatichiamo però ancora a mettere in atto i cambiamenti nel funzionamento della macchina pubblica e nel mercato del lavoro per proteggerci dalle disgrazie nelle quali siamo caduti in passato e permetterci di camminare almeno alla velocità degli altri paesi europei.

Bisogna quindi che il lavoro iniziato in questa direzione vada avanti con più vigore fino a che il maledetto spread non tenderà a zero. Gli studi dell’OCSE ci dicono infatti che l’Italia è, insieme alla Corea, il paese che più di tutti può approfittare dei benefici derivanti dalle indispensabili riforme del funzionamento della macchina pubblica.

E’ evidente che questo lavoro lo dobbiamo fare soprattutto noi, perché l’esperienza ci dimostra che ben poco possiamo fare conto sulla solidarietà europea e sull’operato delle Istituzioni comunitarie di Bruxelles, negli ultimi tempi sostanzialmente operanti sotto tutela germanica.

Tanto più che proprio in questi giorni è cominciata la campagna elettorale e il letargo delle istituzioni europee si sta finalmente trasformando in morte naturale.

Per fortuna rimane viva e operante la Banca Centrale Europea (BCE) che ha agito quando gli altri dormivano e alla quale chiediamo di farsi ancora più attiva nei prossimi mesi, aiutando con questo una troppo timida ripresa. La BCE lo può fare agendo con gli strumenti che essa ha in mano, e cioè l’ulteriore abbassamento del costo del denaro e una spinta alla liquidità dell’economia europea.

La bassa crescita e l’inesistente inflazione permettono infatti alla BCE di mettere nuovo carburante nel motore europeo, con l’effetto aggiuntivo di moderare il tasso di cambio dell’Euro che, tenuto conto delle svalutazioni dei paesi emergenti e della politica del dollaro, ha raggiunto livelli così elevati da costituire un poderoso ostacolo alla nostra crescita.

 

 

 

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
aprile 27, 2014
Articoli, Italia