COP29 e i paradossi della politica ambientale
I paradossi della politica ambientale
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 05 ottobre 2024
Fa un certo effetto constatare che, nello stesso giorno, la Gran Bretagna spegne la sua ultima centrale elettrica a carbone e l’Agenzia Mondiale dell’Energia fa sapere che, nel 2024, il consumo di carbone crescerà ancora, raggiungendo l’impressionante cifra di 8,7 miliardi di tonnellate, superando di ben il 10% la quantità consumata dieci anni fa. Come consolazione, la stessa Agenzia aggiunge che il consumo mondiale di carbone continuerà ad aumentare almeno per i prossimi due o tre anni.
Tutto ciò avviene quando il problema dell’ambiente è diventato finalmente una preoccupazione condivisa da tutta l’umanità. Con un cambiamento di non poco conto se pensiamo che il primo accordo internazionale sull’ambiente, il protocollo di Kyoto, entrato in vigore il 16 febbraio 2005, è stato portato avanti quasi solo dalla Commissione Europea e approvato nonostante il voto contrario di Cina e Stati Uniti.
E’ vero, infatti, che la politica dell’ambiente è ormai coscienza comune, ma è altrettanto vero che la sua concreta realizzazione è fortemente condizionata dalla situazione politica ed economica di ogni paese. Non è quindi facile affrontare un problema che esige una soluzione unitaria per tutto il pianeta, a fronte di politiche tra loro divergenti che nascono da situazioni e posizioni politiche ed economiche difficilmente compatibili.
Non può quindi sorprendere che l’India, all’inizio del suo grande progetto di decollo industriale, fondi il suo sviluppo proprio sul carbone. Il governo indiano non solo sostiene che il suo basso costo è uno strumento essenziale per lo sviluppo del paese, ma obietta che, a partire dall’Europa e dagli Stati Uniti, tutti hanno fondato il loro sviluppo sul carbone. Il governo indiano, perciò, non vede come l’India possa fare altrimenti senza enormi e quasi impossibili aiuti.
Più complessi sono gli interessi e le scelte cinesi. Da un lato la Cina si affianca alla politica indiana e non solo consuma otre il 50% del carbone del pianeta, ma è di gran lunga il maggiore costruttore mondiale di nuove centrali elettriche alimentate a carbone: nel 2023 una ogni settimana.
Nello stesso tempo, però, essendo il produttore dominante dei pannelli solari e delle centrali eoliche, ne incentiva fortemente l’adozione, così come moltiplica le spese di ricerca per le centrali nucleari del futuro.
Altrettanto complicata è la politica brasiliana del presidente Lula che, da un lato, conduce una sacrosanta e difficile battaglia contro il disboscamento dell’Amazzonia e, dall’altro, si pone come obiettivo di salire dall’ottavo al quarto posto tra i produttori mondiali di petrolio. Tutti obiettivi confliggenti tra loro a livello planetario, ma fortemente sostenuti a livello nazionale.
Per non parlare dell’Arabia Saudita che, per non perdere quote di mercato, ha annunciato un progressivo aumento della propria produzione di petrolio, a costo di provocarne la riduzione del prezzo.
Vi sono poi situazioni nelle quali, in conseguenza dei mutamenti politici, cambiano anche le politiche ambientali.
L’esempio più illustre di queste ultime settimane riguarda la candidata democratica Kamala Harris che, in passato, si era a più riprese dichiarata contro l’aumento della produzione di petrolio e metano con il così detto “fracking”, cioè un sistema di perforazione che comporta un enorme uso di acqua e produce sostanziosi rischi per l’ambiente. Essendo questa una produzione fondamentale per l’economia della Pennsylvania, Stato cruciale per il prossimo esito elettorale, Kamala Harris, pur dichiarando che i suoi valori sono sempre quelli di un tempo, ha tuttavia cambiato la sua posizione in materia.
D’altra parte Donald Trump, che aveva sempre avversato con toni da crociata la produzione di automobili elettriche, ha messo in sordina l’argomento da quando Elon Musk, che ancora conserva il primato mondiale in questo settore, è diventato il suo più grande sostenitore.
Non è certo l’Unione Europea esente da queste palesi contraddizioni, dato che la politica verde si è fortemente scolorita durante la scorsa campagna elettorale in conseguenza delle forti e diffuse proteste degli agricoltori e di altre categorie messe in difficoltà dalle precedenti decisioni della Commissione.
E sarà certo interessante seguire l’esito della proposta di impedire la produzione di auto a combustione interna, invece di dettare gli obiettivi di riduzione dell’inquinamento lasciando libera la scelta della tecnologia. Le conseguenze negative sull’industria dell’auto e sulla componentistica stanno infatti spingendo molti paesi europei, tra i quali l’Italia, a tenere conto dei gravi danni prodotti nei confronti del settore dell’auto e dei suoi componenti.
Per finire, è bene tenere presente una nuova contraddizione generata dalla diffusione dell’Intelligenza Artificiale, destinata a portare concreti benefici a tutti noi. Questa grande innovazione è infatti un vero e proprio divoratore di energia -con emissioni stimate fino al 4% di quelle mondiali- , la cui produzione è destinata ad aumentare.
Tutti questi problemi dovranno essere affrontati dalla COP29, la maxi conferenza mondiale sull’ambiente che si svolgerà, fra poche settimane, a Baku, capitale dell’Azerbaijan. Tentare di risolvere tutte queste contraddizioni non sarà un compito facile. Anche perché, come ultima contraddizione, la conferenza mondiale sull’ambiente si svolgerà, per la seconda volta di seguito, in un paese che è un grande produttore di petrolio e di gas.