Di fronte alle debolezze europee, si consolida l’alleanza strategica Russia-Cina
Russia-Cina: il nuovo assetto sfavorevole all’Europa
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 26 febbraio 2022
Tra le tante previsioni sull’evoluzione della crisi ucraina, si sta verificando la peggiore: i carri armati russi dilagano in tutto il paese e stringono in una morsa la stessa Kiev, allungando l’elenco dei morti, dei feriti e dei rifugiati.
In queste circostanze il nostro sentimento non può che essere guidato da una profonda partecipazione al dolore di chi soffre e da una consonanza completa con chi invoca la pace.
Difficile tuttavia immaginare gli sviluppi futuri di questo conflitto che, da guerra-lampo, sembra trasformarsi in un conflitto di cui è difficile prevedere la durata e gli esiti, data l’attuale mancanza di ogni mediazione.
Tenuto conto della superiorità dei mezzi impiegati, la Russia sembra essere il probabile vincitore, ma nessuno è in grado di valutare la capacità di resistenza e di aggregazione del fronte anti russo che agisce in un paese grande il doppio dell’Italia, con una popolazione quasi un terzo di quella russa.
Bisogna inoltre tenere conto che la Russia, anche se è una grande potenza militare e il più esteso stato del mondo, non ha una forza economica tale da poter sostenere per un tempo indefinito il difficile ruolo di grande potenza mondiale.
Un ruolo che la vede già militarmente impegnata non solo in Siria, ma in Libia, in Mali, nella Repubblica Centraficana e in Mozambico, mentre è attivamente presente in tutta l’Asia centrale e nel Medio Oriente.
Un’esposizione straordinariamente estesa (tecnicamente si direbbe overstretched) per un paese militarmente fortissimo, ma che ha un Prodotto Interno Lordo nominale inferiore a quello dell’Italia e un reddito pro-capite intorno a un terzo di quello di ogni nostro cittadino.
Questo straordinario squilibrio fra potere politico-militare e forza economica deriva principalmente dalle sue quasi inesauribili risorse energetiche. Risorse collocate proprio tra Europa e Cina, entrambe assetate di petrolio e di gas.
Di fronte all’estrema difficoltà di interpretare le prossime evoluzioni politiche, resta l’amara considerazione che sono proprio le molte decine di miliardi di dollari all’anno che arrivano nelle casse della Russia dalla vendita del petrolio e del gas, a rendere possibile la politica espansiva di cui siamo testimoni.
Il vero fatto nuovo è che, nei lunghi decenni nei qual siamo stati dipendenti dall’Unione Sovietica e dalla Russia nel campo energetico, questa è la prima volta in cui non solo la nostra economia, ma la nostra stessa politica estera viene condizionata dal prezzo dell’energia.
Forse proprio la sicurezza derivante dai molti anni di rifornimenti sicuri e a un prezzo tollerabile e garantito ha messo in secondo piano la necessità di organizzare una comune politica energetica europea. Pensando che i momenti favorevoli durassero per sempre, abbiamo scelto di adottare, nell’acquisto di gas dalla Russia, i prezzi “spot” del mercato, abbandonando i precedenti accordi di lungo periodo.
Inoltre ogni paese europeo ha elaborato una sua diversa politica, fino ad arrivare al punto in cui, mentre la Germania chiude le sue ultime centrali nucleari, la Francia decide di aggiungerne altre otto alla sua già poderosa dotazione.
Lo scenario è oggi così cambiato che, quando il Presidente Draghi ha ragionevolmente prospettato l’ipotesi di riattivare, anche se temporaneamente, alcune centrali a carbone, non vi è stata alcuna rivolta popolare, così come si è arrivati finalmente ad una generale accettazione dell’estrazione di metano dai pozzi dell’Adriatico già da tempo esistenti, ma non ancora resi operativi.
Se, pur condividendo la necessità di reagire di fronte all’attacco all’Ucraina, noi europei fatichiamo a elaborare una politica comune riguardo alle sanzioni contro la Russia, questo deriva proprio dalla mancanza di una comune politica energetica.
Questa crisi dovrebbe almeno insegnarci a ricomporre le nostre divergenze, avendo come duplice obiettivo l’indipendenza energetica e il raggiungimento dei nostri impegni di carattere ambientale.
E’ comunque certo che questo comportamento russo nasce proprio dalla constatazione delle debolezze europee, a cui si accompagna il disegno di avere nella Cina un’alternativa all’acquisto di energia e alla fornitura di tecnologie finora prodotte in Europa.
Tutto questo avrà la possibile conseguenza di trasformare gli attuali buoni rapporti fra Russia e Cina in un’alleanza strategica in grado di cambiare la politica mondiale, certamente non a favore dell’Europa. Per ora dobbiamo limitarci a constatare che i rapporti commerciali fra Cina e Russia sono aumentati di un impressionante 35% solo nel corso dell’ultimo anno e che le importazioni cinesi, prevalentemente di petrolio e gas, sono arrivate alla cifra di 79 miliardi di dollari.
Sembra quindi che la Russia stia cercando un’alternativa alle relazioni con l’Europa, anche se la Cina stessa non ha ancora direttamente appoggiato le azioni russe nei confronti dell’Ucraina.
Non solo la Cina si è astenuta nelle decisioni del Consiglio di sicurezza riguardanti l’Ucraina, ma non risulta nemmeno facile l’interpretazione della frase del Presidente Xi Jinping quando scrive che “la Cina sostiene la Russia nell’affrontare il problema ucraino attraverso un negoziato con l’Ucraina”.
Per capire come stanno le cose sarebbe meglio sapere che cosa si sono detti fra di loro Putin e Xi Jinping, quando si sono lungamente incontrati in occasione dell’inaugurazione delle Olimpiadi di Pechino. Su questo però sappiamo ben poco, anche se sarà bene seguire con attenzione quali saranno le conseguenze di questo lungo colloquio.