Europa al bivio: perché dobbiamo correre alle urne

Perchè dobbiamo correre alle urne

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 08 giugno 2024

Nei ventisette paesi d’Europa si sta già votando per le elezioni. Ha cominciato l’Olanda e le urne si chiuderanno domani sera con l’Italia. Che vi siano elezioni in corso se ne sono accorti tutti, data la durezza dei dibattiti televisivi e la diffusa aggressività nei social.

Se tuttavia si guarda al contenuto di questi scontri, ben pochi hanno potuto capire che si tratta di elezioni europee. La materia del contendere e le proposte politiche si sono prevalentemente concentrate sui problemi nazionali.

Questo non ha riguardato soltanto l’Italia. In tutti i paesi hanno infatti prevalso gli aspetti domestici anche se, da noi, hanno giocato un ruolo addirittura dominante. Si è discusso infatti soprattutto di condoni edilizi, di social card e di magistratura, il tutto nel consueto sfondo del dibattito sul premierato. Temi riguardo ai quali la competenza europea è notoriamente trascurabile.

Siamo quindi chiamati ad un unico e importantissimo confronto, ma in presenza di ventisette differenti campagne elettorali. Il solo elemento che le ha armonizzate è l’immigrazione, dato che, anche se ancora per pochi anni, la politica anti immigranti porta voti, dall’Est all’Ovest, dal Baltico al Mediterraneo.

Mirata verso quest’obiettivo è stata infatti la missione della Presidente Meloni in Albania, dedicata a verificare l’andamento dei lavori in corso nel presidio che dovrà adempiere, volutamente fuori dai nostri confini, alle complesse pratiche che accompagnano l’arrivo di coloro che giungono in Italia dal sud del Mediterraneo.

Anche nei confronti dal grande tema che riguarda la scelta fra un’Europa federale e il ritorno all’esclusiva sovranità degli stati-nazione ci si è limitati a dichiarazioni di principio.

Solo tra gli specialisti si è affrontato il dibattito sulle decisioni necessarie per rendere l’Unione Europea, quindi tutti noi, in grado di affrontare i cambiamenti del mondo e, soprattutto, la grande sfida per la nostra sopravvivenza di fronte al ruolo sempre più dominante di Cina e Stati Uniti.

Una ragionevole spiegazione di questa anomalia deriva dal fatto che in quasi tutta Europa prevalgono governi di coalizione che si sono faticosamente messi d’accordo sui temi di politica interna ma che, in presenza di divergenze sulla politica europea, sono quasi costretti a limitarsi a slogan generici invece di formulare programmi.

Nello stesso tempo, tuttavia, i responsabili dei partiti politici si rendono conto che l’Europa non solo non finisce ma, proprio per la forza della storia, è destinata ad avere un ruolo necessariamente crescente non soltanto nel campo dell’economia, ma anche nella politica estera, nella difesa e nella protezione dei diritti fondamentali dei cittadini.

Su come si possano raggiungere questi obiettivi vi è una certa differenza fra l’Italia e gli altri paesi, soprattutto per quanto riguarda la scelta di coloro che dovranno assumere incarichi nelle istituzioni europee, a partire dal Parlamento.

Euroscettici o euroentusiasti dei diversi paesi (partendo da Germania e Francia ma, nei vecchi tempi, comprendendo anche la Gran Bretagna) sono stati sempre concordi nel mandare a Bruxelles e a Strasburgo persone specificamente esperte nell’affrontare i complessi problemi sui quali dovranno lavorare nel corso dei cinque anni della legislatura.

Preparando cioè chi dovrà curarsi di politiche agricole, chi delle strategie industriali, chi delle complicate evoluzioni delle cooperazioni scientifiche e chi dei diritti fondamentali dei cittadini.

L’obiettivo, anche se non sempre raggiunto, è quello di formare una squadra capace di esercitare una leadership tecnica e politica e di garantirne non solo l’efficienza, ma anche la continuità.

Non è questo l’elemento che ha caratterizzato la scelta dei nostri candidati che, se eletti, si troveranno quasi tutti a dovere affrontare un lungo e difficile processo di apprendimento, durante il quale i ruoli e le capacità di decisione saranno in mano di altri.

Parte di questa nostra diversità deriva dalla volubilità dei partiti italiani che moltiplicano o dividono per quattro il numero dei loro eletti da una all’altra legislatura. Una parte altrettanto importante di questa nostra relativa debolezza, nasce però dal fatto che le candidature agli incarichi europei sono lo strumento più praticato per chiudere i conti rimasti aperti nella politica interna.

Nella cabina elettorale ci troveremo quindi davanti ad un quadro difficile da interpretare, ma di fronte a un’elezione di importanza fondamentale dato che, in conseguenza dei cambiamenti in corso, le competenze europee non possono che aumentare, diventando determinanti anche per l’efficacia di ogni politica nazionale.

L’elettore è ad un bivio fondamentale. Deve decidere se dare il voto a coloro che, sulla base delle loro promesse presenti e ancora più dei loro comportamenti passati, daranno il proprio contributo alla costruzione di un’Europa federale, capace di eliminare i paralizzanti diritti di veto e di unire le forze di tutti i ventisette paesi per una politica economica, una politica estera ed una politica di difesa comuni.

Ouppure se dare fiducia a coloro che vogliono guidare l’Europa guardando solo lo specchietto retrovisore che riflette un passato diventato ormai incapace di interpretare i cambiamenti in corso.

E’ ovvio che il modo nel quale le campagne elettorali si sono svolte non favorisce l’accesso al voto. Tuttavia, data l’importanza delle urgenti decisioni che dovranno essere obbligatoriamente prese a Bruxelles nei prossimi cinque anni, è necessario correre alle urne.

 

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
giugno 8, 2024
Articoli, Italia