G20: le ambizioni dell’India ed i valori dell’Occidente
Il G20 al via – Le ambizioni indiane e i valori d’Occidente
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 09 settembre 2023
Inizia oggi a Nuova Delhi l’importante weekend del G20: vertice pieno di attese e di incertezze. Le attese nascono dal fatto che questa riunione è stata preceduta da un acceso dibattito sullo stato delle relazioni internazionali e delle riforme necessarie per adattarle alla nuova realtà.
Oggi, infatti, il dominio del mondo non è più nelle sole mani delle democrazie occidentali, ma vede l’ affermazione di nuovi protagonisti, operanti sotto l’ancora non definita bandiera dei BRICS e del “Global South”, cioè dei paesi emergenti e dei più poveri del globo.
Si attende a questo proposito una possibile disponibilità degli Stati Uniti a presentare un progetto di riforma degli statuti del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, cioè delle due grandi istituzioni che da anni vengono sottoposte a critica proprio perché troppo legate agli interessi americani ed europei.
E’ difficile che su questi temi si possano avere cambiamenti rapidi e sorprendenti, ma è indubbiamente importante che inizi un confronto costruttivo dopo tanti anni nei quali il problema non è mai stato affrontato e che questo avvenga in un consesso che, pur con evidenti limiti di carattere operativo, ha tuttavia una partecipazione sostanzialmente universale.
Il G20 di Nuova Delhi assume tuttavia un significato del tutto particolare perché è stato meticolosamente e lungamente preparato allo scopo di ottenere il definitivo riconoscimento dell’India come nuovo protagonista della politica mondiale.
In effetti l’India è il più popoloso paese del pianeta (un miliardo e quattrocento milioni di abitanti) ed è la quinta economia del mondo, aspirando ad essere presto la terza, dopo Stati Uniti e Cina. A questo si aggiunge un crescente livello nella preparazione scolastica e scientifica (vedi la recente missione sulla Luna) e una forza militare di una certa rilevanza.
L’obiettivo di Narendra Modi, da nove anni primo Ministro, è quindi quello di presentarsi come il leader del nuovo mondo in ascesa.
Un obiettivo certamente possibile ma, con altrettanta certezza, non facile da raggiungere. Nonostante gli indubbi risultati ottenuti nel miglioramento di vita del paese, l’India è ancora afflitta da forti tensioni e divisioni interne, alle quali Modi sta reagendo con un crescente autoritarismo.
Il problema più serio riguarda i duecento milioni di musulmani e le altre minoranze religiose, spinte sempre più al margine della vita economica e politica, spesso con manifestazioni di violenza. A questo si aggiungono conflitti locali, caratterizzati da lunghi e sanguinosi scontri, come è recentemente avvenuto nella città di Manipur.
Soprattutto dopo la vittoria elettorale del 2019, il disegno di Modi prosegue nella duplice direzione di rendere l’India un paese in cui solo gli Hindu sono cittadini di prima classe e in cui la libertà di espressione e l’opposizione politica hanno uno spazio sempre minore.
Nonostante tutto questo, Modi è stato trionfalmente ricevuto da Macron a Parigi e mantiene rapporti sempre più stretti con Washington, che continua a sottolineare il grande contributo alla politica mondiale dell’India come pilastro della più antica e più grande democrazia del mondo.
Eppure sono sempre più numerosi gli osservatori e gli analisti, anche americani, che mettono in rilievo come questo “pilastro democratico” presenti debolezze tali da mettere a rischio il progresso economico e politico dell’India, il suo ruolo internazionale e, soprattutto, la sua coerenza nei confronti delle regole democratiche.
Siamo infatti di fronte a una indubbia contraddizione fra dichiarazioni e comportamenti, contraddizione che si spiega semplicemente con il fatto che, almeno in questa fase storica, Washington e Nuova Delhi non condividono valori comuni, ma solo interessi comuni, nell’obiettivo di contenere la crescente potenza cinese.
A sua volta l’India utilizza questa particolare contingenza per proseguire la sua tradizionale politica di stare con tutti e con nessuno, badando soprattutto ai fatti propri. Nel lungo periodo della guerra fredda si è schierata un poco con i paesi non allineati e un poco con l’Unione Sovietica, senza tuttavia mai rompere con gli Stati Uniti.
Sotto questo aspetto vi è continuità nella politica indiana di oggi, che invia armi ai militari del Myanmar, si propone come leader dei BRICS, non aderisce alla coalizione che sostiene l’Ucraina, flirta con Washington e Parigi, ma non rompe totalmente con la Cina, rimanendo membro dell’Organizzazione della Cooperazione di Shanghai, struttura sotto l’indubbia leadership cinese. Inoltre commercia con la Cina nella stessa misura con cui tiene relazioni commerciali con gli Stati Uniti.
Nonostante questa assai intricata situazione, il Primo Ministro Indiano, nel suo discorso di presentazione del G20, ha affermato che l’obiettivo dell’incontro è quello della creazione di “un solo mondo, una sola famiglia e un solo futuro” e che l’India si presenta come “un esempio” per tutti gli altri paesi.
Si tratta certo di un obiettivo nobile ma, nelle condizioni descritte, non certo facile da raggiungere. La riconosciuta abilità diplomatica indiana dovrà quindi mantenersi ben allenata.
Nei suoi quaranta minuti di discorso sullo stato del mondo, Narendra Modi non ha mai nominato l’Europa.
Non sarebbe ora di svegliarsi?
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Aggiornamento del 10 settembre: qui il comunicato finale