Il declino di Netanyahu: l’orizzonte incerto di Israele e suoi effetti
Il declino di Netanyahu: l’orizzonte incerto di Israele e suoi effetti
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 22 settembre 2019
Forse solo Israele offre un quadro politico più complicato di quello Italiano: le ultime elezioni lo confermano.
Il parlamento israeliano (Knesset) si compone di 120 membri e, per formare una maggioranza, occorrono evidentemente 61 voti. Nelle elezioni dell’aprile scorso la coalizione di destra guidata dal primo ministro Bibi Netanyahu non è riuscita ad ottenere il numero dei voti necessari per governare ma nessuna maggioranza alternativa è uscita fuori dalle urne.
Martedì scorso, a distanza quindi di pochi mesi, si sono ripetute le elezioni ma i risultati rendono ugualmente complicata la situazione, anche se segnano un indubbio indebolimento dell’attuale Primo Ministro. Il partito di Netanyahu è infatti passato da 35 a 31 seggi e, anche contando i suoi possibili alleati, può arrivare solo a 55 parlamentari.
Non molto più facile è però il cammino del suo principale avversario, il generale Benny Gantz, il cui partito (chiamato bianco-blu dai colori della bandiera israeliana) conta 33 seggi ma ha uguali difficoltà ad arrivare alla maggioranza, anche per la fiera opposizione degli ultraortodossi che hanno riportato un notevole successo.
Essi odiano i parlamentari di Gantz che si oppongono a concedere quanto da loro richiesto riguardo all’esenzione dal servizio militare, all’adozione di programmi scolastici speciali e al rigoroso rispetto del sabato.
La soluzione è ulteriormente complicata dal fatto che la minoranza palestinese (che costituisce oltre il 20% dei cittadini di Israele) è andata a votare in misura superiore al previsto e conta ora 13 seggi in parlamento. Dato che, almeno fino ad ora, nessuno dei possibili raggruppamenti è disposto ad allearsi con i palestinesi, le difficoltà che si oppongono alla formazione di una maggioranza di governo non possono che aumentare.
Quando si creano situazioni così complicate di solito si ricorre alla formazione di una grande coalizione nella quale gli esponenti dei maggiori partiti si alternano nel ricoprire la carica di primo ministro. Netanyahu si è affrettato a proporre questa soluzione anche per presentarsi in posizione più autorevole di fronte al Procuratore Generale che, ai primi di ottobre, dovrà decidere se inviarlo a processo, in conseguenza delle accuse di corruzione alle quali deve rispondere. Gantz si è naturalmente affrettato a respingere la proposta della grande coalizione, dato che conta di essere invitato dal Presidente della Repubblica a formare il nuovo governo, anche se la trattativa si presenta lunga e difficile.
A questo punto è naturalmente doveroso riflettere su quali potrebbero essere le conseguenze di un passaggio di potere da Netanyahu a Gantz.
La più certa e importante è la fine del lungo potere egemonico di Netanyahu, continuamente in lotta con la minoranza palestinese, dato il suo proposito di annettere allo Stato di Israele la West Bank, cioè le tradizionali regioni della Giudea e della Samaria. Allo stesso modo questo cambiamento dovrebbe almeno rallentare la costruzione del muro che non solo separa gli israeliani dai palestinesi, ma divide in modo del tutto crudele e inaccettabile i palestinesi stessi fra di loro.
Molto più difficile è il ritorno ad una strategia di creazione di due Stati: uno palestinese e uno israeliano entrambi indipendenti e sovrani. Questo progetto è sempre più avversato dalla maggioranza degli Israeliani e, dopo i tentativi falliti da Ehud Barak e Ehud Olmert, ha poche speranze di essere messo in atto in tempi prevedibili anche in caso di un cambiamento della coalizione di governo. Coalizione nella quale è per ora escluso che i palestinesi possano farne parte, nonostante il loro progresso elettorale e il fatto che si siano presentati alle elezioni con una lista unitaria, mettendo in secondo piano le divisioni che avevano ulteriormente diminuito la loro pur scarsa influenza politica.
Dai risultati delle elezioni non ci si attende perciò alcun radicale cambiamento ma almeno un alleggerimento delle tensioni e rapporti di convivenza meno conflittuali rispetto a quelli che il governo Netanyahu aveva sistematicamente perseguito, con una forte accelerazione negli ultimi anni, dopo che Trump aveva sostituito Obama alla Presidenza degli Stati Uniti.
Nelle prossime settimane assisteremo quindi a una lunga e raffinata disputa fra Netanyahu, che cercherà di costruire una grande coalizione e Gandz, che farà ogni sforzo per attrarre intorno a sé un numero sufficiente di partiti minori in modo da formare un governo alternativo. Qualsiasi sia il risultato di questa disputa resta indubbio che il dominio di Netanyahu è tramontato, ma è altrettanto certo che una pace condivisa fra Ebrei e Palestinesi è ancora lontana, anche se si rafforza la probabilità di arrivare a rapporti di convivenza meno duri e conflittuali. La situazione è tuttavia ancora così intricata che non si escludono nemmeno nuove elezioni.