Non bastano i bonus per risolvere il problema casa
Le politiche per la casa oltre i bonus
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 17 agosto 2024
Vi sono ovunque problemi che i governi non riescono ad affrontare fino a quando non producono danni così gravi da mettere a rischio il funzionamento stesso della società.
Per restare in Italia, da più di un paio di decenni, vi è una diffusa coscienza che l’attuale sistema pensionistico non sia in grado di prepararci al futuro. Da ormai un decennio l’arretramento del sistema sanitario pubblico rende palese l’assoluta necessità di riforme radicali che ne garantiscano il carattere universalistico. Solo ora, invece, cominciamo a renderci conto che la debolezza del sistema abitativo mette a rischio il futuro dell’Italia.
Questo ritardo nella valutazione del problema è forse dovuto al fatto che esso non si presenta con uguale gravità in tutto il paese. Esiste infatti anche un’Italia minore, in cui il prolungato esodo della popolazione mette in secondo piano il problema abitativo. Caratteristica comune all’intero paese è invece il fatto che, contrariamente a quanto avviene nel Nord Europa, quasi l’80% dei cittadini vive in un’abitazione di proprietà. Vivere in una casa propria è comprensibilmente considerata una caratteristica positiva ma, in una società fortemente mobile come deve essere ogni società moderna, questa realtà crea problemi crescenti per le persone, per le famiglie e per l’intero paese.
Le aree metropolitane, che sempre più attraggono le energie produttive, sono infatti arrivate a costi delle abitazioni assolutamente non affrontabili da parte dei non abbienti, costi che ammontano oggi a più di dieci anni del reddito medio di una famiglia italiana: un tempo raddoppiato nel corso dell’ultima generazione.
In parallelo sono ovviamente aumentati i prezzi delle scarse abitazioni in affitto. Il risultato è disastroso. I lavoratori con un livello medio di reddito non sono più in grado di vivere nelle aree metropolitane. Tra essi sono ovviamente compresi anche coloro che si dedicano alle attività indispensabili alla vita delle città, dagli addetti alle pulizie, ai trasporti, agli insegnanti di ogni ordine e grado, agli agenti di polizia, ai dipendenti degli ospedali. Una quota crescente di questi è costretta ad abitare in aree sempre più distanti dal luogo di lavoro, con insopportabili costi umani e finanziari. In parallelo sta diventando insopportabilmente crescente il numero di coloro che sono costretti a rinunciare al posto di lavoro faticosamente conquistato proprio perché il costo della casa, sia esso in proprietà o in affitto, non è affrontabile con il livello dei loro salari.
Questo è ormai un caso normale sia nel settore pubblico che per le imprese private.
Non parlo soltanto di Milano, dove il costo di un appartamento o il canone d’affitto toccano il doppio della media del paese, ma di quasi tutte le aree metropolitane del centro-nord (Roma inclusa) con una tendenza a comprendere anche molti insediamenti del meridione. Si sta cioè concretizzando un quadro in cui il problema abitativo costituisce la principale strozzatura per lo sviluppo economico e gli equilibri sociali dell’Italia.
Le conseguenze negative di questa realtà sono quindi evidenti, così come sono difficili i pur indispensabili rimedi.
In primo luogo è infatti necessario tenere presente che l’80% della ricchezza degli italiani è costituita dalla proprietà immobiliare. Qualsiasi pubblico intervento diretto a modificarne le regole di funzionamento o gli equilibri finanziari diventa politicamente difficile, mentre ogni norma volta ad aiutare il settore lasciando inalterata la sua regolamentazione (compresa la follia del 110%) trova immediata applicazione nella maggioranza di chi è chiamato a prendere le decisioni politiche.
In secondo luogo è sostanzialmente scomparsa ogni presenza pubblica nel mercato immobiliare, sia per quanto riguarda le esigenze delle famiglie, sia in riferimento a settori particolari come gli studentati o le strutture abitative dedicate agli anziani e al numero crescente di nuclei familiari formati da persone singole.
E’ evidente che il ruolo del pubblico non riguarda solo l’intervento nell’attività costruttiva in senso stretto, ma anche le possibili sinergie fra pubblico e privato che incidono sulla disponibilità delle aree e sulle regole burocratiche che disciplinano il settore, regole spesso inutilmente complesse e contraddittorie fra di loro.
Non si può inoltre non tenere conto della necessità di riformare il mercato degli affitti, riguardo al quale la legislazione e la prassi giurisprudenziale sono fortemente penalizzanti nei confronti dei proprietari di case.
Mancano infatti le necessarie garanzie nei confronti del corretto pagamento del canone e dei tempi e dei costi da affrontare nel caso che l’inquilino si rifiuti di lasciare libero l’alloggio alla scadenza del contratto. Il che scoraggia l’offerta delle case in affitto e i necessari investimenti nel settore abitativo destinato all’affitto.
E’ evidente che tutti questi doverosi cambiamenti hanno la possibilità di essere applicati senza provocare tensioni sociali solo se si creano concrete alternative nell’offerta abitativa.
A questo punto si apre il problema dell’efficienza produttiva di un settore che, più di ogni altro paese europeo, si fonda quasi esclusivamente su piccole o piccolissime imprese, con un numero di dipendenti che, in media, non supera i tre addetti per ogni unità produttiva.
Per questo motivo la produttività del settore è nettamente inferiore a quella degli altri paesi e non mostra tendenze all’aumento.
Eppure si tratta di un settore che ha un’importanza enorme. In modo diretto o indiretto esso pesa per più del 20% dell’intera economia italiana.
Mi sembra quindi che vi siano ragioni sufficienti perché il problema della casa venga affrontato nella sua complessità e non con interventi volti solo a venire incontro ad interessi particolari e limitati.