Edmondo Berselli: uomo libero che amava l’ironia
Uomo libero che amava l’ironia
Ci ha raccontato debolezze e vizi dell’Italia con tanta partecipazione
Articolo di Romano Prodi su L’Espresso del 16 aprile 2010
Se Edmondo Berselli si fosse sentito definire un intellettuale si sarebbe certamente infuriato. Il suo vezzo era quello di scrivere con intelligenza dei costumi e della mancanza di costumi, della politica e della mancanza di politica, delle passioni e dei vizi individuali ma anche delle passioni e dei vizi collettivi. Ma lo faceva sempre con voluta leggerezza e, soprattutto con un ironico sorriso di comprensione per le debolezze umane che Edmondo amava più sfottere che condannare in modo moralistico o dottrinario.
Proprio per questo motivo era un vero intellettuale, capace di pensare all’Italia con uno sguardo impietoso ma che la sua ironia non rendeva mai disperato. Certo raccontava più di tutto le debolezze e i vizi del Paese e, per raggiungere questo scopo, usava come strumenti soprattutto l’ironia e l’umorismo.
E questo era il modo con cui poteva criticare persone, istituzioni e partiti senza sconti e senza servilismo. In fondo la sua ironia emiliana era il suo grande strumento di libertà per cui poteva anche bastonare un po’ gli amici senza creare risse ma obbligandoli a pensare. Posso dire questo perché anch’io sono entrato in questa particolare dialettica con Edmondo senza che mai fosse incrinata un’amicizia durata più di trent’anni. E queste cose le può fare solo un grande intellettuale.
D’altra parte non si arriva in un ambiente sofisticato ed in un certo senso esclusivo come il Mulino passando in breve tempo dal ruolo di semplice redattore a quello del direttore della rivista e protagonista nel dibattito dell’Associazione se non si è un intellettuale raffinato, capace di passare tutti gli esami da quelli scritti a quelli orali. E si è certo un intellettuale raffinato se la lettura dei tuoi libri provoca ogni volta discussioni a non finire sui loro contenuti e sui loro significati. Questo a cominciare da quel ‘Il più mancino dei tiri‘ che voleva essere solo un gioco e che finì con l’essere discusso come una parabola interpretativa del comportamento degli italiani.
Tutti i suoi libri successivi, da ‘Quel gran pezzo dell’Emilia‘ ai ‘Sinistrati‘, hanno un voluto titolo provocatorio ma un contenuto assolutamente serio e profondamente ragionato. Insomma i suoi libri nascono da una grande cultura e da una grande libertà interiore e hanno davvero aiutato il Paese a diventare meno piegato e più libero, anche se Edmondo ha sempre voluto nascondere questa sua profondità di analisi con un linguaggio da ragazzaccio. Questo era per lui il modo di fare crescere la società italiana, rendendola consapevole dei suoi difetti e dei suoi vizi.
Le canzoni e lo sport, dei quali era peraltro conoscitore raffinatissimo, erano uno strumento per verificare i cambiamenti del Paese, riguardo ai quali prevaleva sempre la nostalgia per il tempo prima del 1968, anno che era stato per Edmondo un momento di involuzione rispetto ai cambiamenti profondi ma meno conflittuali che si stavano realizzando in Italia.
Ho saputo dalla sua carissima Marzia che prima di morire ha potuto finire il suo ultimo libro di cui tante volte avevamo discusso per telefono. Un libro di cui non conosco il titolo ma riguardo al quale abbiamo scambiato lunghe conversazioni sul problema delle crescenti disuguaglianze ecologiche e culturali della nostra società, sulle nuove povertà, sulla progressiva caduta delle attese dei giovani e sull’evoluzione necessaria alla politica e al pensiero per potere mettere freno a questa caduta delle attese che la recente crisi aveva messo in atto.
Non so proprio se Edmondo abbia scritto di queste cose che tanto lo preoccupavano nei lunghi mesi di sofferenza che hanno preceduto la morte, ma sono certo che, se lo ha fatto, non avrà abbandonato la sua ironia, la sua passione ma anche il suo meraviglioso atteggiamento da ragazzaccio.
E, anche dopo la sua morte, potremo imparare da Edmondo Berselli come si può guardare in faccia alla nostra società con acutezza, con senso critico ma anche con tanta partecipazione. (15 aprile 2010)