Il tunnel è lungo ma con la BCE il treno si è mosso
La Bce non basta
Il tunnel è lungo ma il treno si è mosso
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 9 settembre 2012
Quando nell’autunno del 2008 la crisi esplodeva nella sua massima violenza, mi sono trovato con un gruppo di economisti a riflettere su quanto tempo la crisi sarebbe presumibilmente durata. La maggioranza di noi pensava che un periodo di tre-quattro anni sarebbe stato sufficiente per guarire dall’improvvisa e grave pestilenza. Diverso era il parere di un collega, professore di storia dell’economia. Guardando indietro nel tempo, egli sosteneva che, per mettere a posto squilibri così gravi, sarebbero occorsi almeno sette anni di vacche magre, proprio come nella Bibbia.
Da quella discussione sono trascorsi quattro anni e la previsione pessimista non solo si è avverata, ma vi è perfino chi pensa che essa fosse troppo rosea.
La così detta ripresa a V, per cui dopo una caduta rapida vi sarebbe stata un’altrettanta rapida ripresa, non solo non si è avverata ma sembra addirittura allontanarsi.
Anche la Cina, che più di ogni altro Paese aveva sostenuto lo sviluppo dell’economia mondiale, vede ora diminuire il suo tasso di crescita, data la difficoltà di sostituire con maggiori consumi interni gli investimenti e le esportazioni rese più difficili dalla caduta dei mercati mondiali.
E’ vero che la crescita rimarrà ancora nel prossimo futuro a un livello che noi nemmeno immaginiamo, ma un paio di punti in meno nello sviluppo cinese non contribuiranno certo a una rapida uscita dalla crisi mondiale.
Ancora più complessa è la situazione degli altri Brics che, a cominciare dal Brasile, devono affrontare operazioni di aggiustamento dell’economia non molto dissimili a quelle cinesi.
A loro volta gli Stati Uniti, che in una prima fase avevano reagito con energia di fronte alla crisi, sono entrati in un periodo di sviluppo più modesto, che probabilmente peggiorerà in futuro, dati gli enormi squilibri della finanza pubblica e della bilancia commerciale.
Questa breve carrellata di analisi post-estiva termina ovviamente con l’Europa. Stiamo navigando intorno allo zero con tendenza negativa: non solo i paesi mediterranei sono in difficoltà ma anche la Francia è quasi in recessione e la Germania, secondo le previsioni Ocse, è in via di peggioramento.
Mettendo insieme tutti questi dati devo convenire che, almeno per ora, si presenta davanti a noi un lunghissimo tunnel e, nonostante l’uso di cannocchiali sempre più potenti, non appare alcuna luce in fondo a questo tunnel. Eppure, in termini globali, l’Unione Europea si presenta più equilibrata rispetto alle altre grandi aree mondiali: i bilanci pubblici sono mediamente più sani e così la bilancia commerciale. Il problema è che questa buona salute europea è costruita su una somma di squilibri di segno opposto fra i diversi paesi e non vi sono ancora gli strumenti condivisi per armonizzare le politiche divergenti.
In questa situazione l’azione di risanamento dei singoli paesi è condizione necessaria ma non sufficiente per la ripresa: senza una spinta collettiva verso la crescita non vi è alcuna possibilità di un concreto aggiustamento da parte dei paesi in difficoltà. Quello che essi guadagnano in termini di risanamento dei bilanci pubblici lo perdono in termini di ulteriore crollo dell’economia.
La disoccupazione, le crisi aziendali, il fallimento dei negozi sono tutti fattori depressivi ai quali può essere posto rimedio solo con una politica di aumento del potere d’acquisto guidata dai paesi con i bilanci più solidi, a partire dalla Germania.
Questo non vuol dire mettere in secondo piano le necessarie riforme e i necessari sacrifici: bisogna solo tenere conto del fatto che questi daranno un risultato positivo solo fra qualche anno, mentre l’avvitamento dell’economia è in corso oggi. La costruzione di una comune politica economica e finanziaria europea è quindi indispensabile per dare a paesi come l’Italia e la Spagna il tempo necessario perché le riforme abbiano effetto prima che si verifichi il crollo della loro economia e le loro difficoltà contagino gli altri paesi europei.
Per questo motivo deve essere vista con molto favore la recente decisione della Bce di usare tutti i propri poteri in modo da diminuire le tensioni esistenti nei mercati finanziari europei. Una decisione che Mario Draghi aveva annunciato in anticipo e che ha fatto approvare dal consiglio della Bce, nonostante il voto contrario della Bundesbank. Un messaggio che chiarisce la volontà di usare tutti gli strumenti disponibili per garantire il futuro della moneta unica europea.
Non si tratta di una soluzione globale e sufficiente per risolvere tutti i problemi di fronte ai quali si trova la nostra economia, ma finalmente è stata presa una decisione che compie un primo importante passo verso la diminuzione delle disparità ( i famosi spread) tra i tassi di interesse dei diversi paesi europei.
Altre decisioni ben più difficili dovranno essere prese dai governi e dalla Commissione europea ma, anche se la luce in fondo al tunnel non si vede ancora, si è almeno cominciato a muovere il treno che fino ad ora era fermo in galleria. In fondo questo era quanto di meglio ci potessimo aspettare in questi tempi.