La partita è ancora aperta: Kamala centrista tra parole e omissioni
Kamala centrista tra parole e omissioni
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 31 agosto 2024
Non è mai facile fare previsioni attendibili sulle elezioni americane, ma l’esercizio risulta quest’anno ancora più difficile. Non soltanto per i continui colpi di scena, che vanno dall’attentato a Trump alla rinuncia di Biden, ma anche per la novità della contesa che si è aperta dopo questi due imprevisti eventi.
Una novità nella strategia di Trump che aveva preparato la sua precedente campagna presentandosi come l’uomo del futuro di fronte a un declinante Biden.
Ora, invece, si trova a competere con una candidata che ha diciotto anni meno di lui e che, avendo esercitato l’attività di vicepresidente sostanzialmente nell’ombra, a parte i suoi interventi iniziali sul problema migratorio, è meno vulnerabile nei confronti dei feroci attacchi che Trump costantemente ripeteva contro Biden.
Tuttavia, la novità della campagna è la candidata democratica proprio perché, dopo una splendida carriera nella magistratura, Kamala Harris ha praticato una vicepresidenza di basso profilo, con scarse relazioni esterne e senza collaboratori capaci di esercitare un peso politico significativo nella società americana.
La sua immagine era rimasta perciò legata alle prese di posizione più radicali che aveva espresso nella carriera precedente e nei suoi primi discorsi politici.
In un primo momento la sua candidatura è sembrata quindi più uno stato di necessità generato dalle troppa tardiva uscita di scena di Biden che non il frutto di una vera e propria scelta, capace di riunificare le complesse composizioni del Partito democratico.
Come a volte capita è successo l’opposto. In primo luogo tutti i grandi riferimenti del partito, da Clinton a Obama, fino ad arrivare a Carter, hanno dimenticato le precedenti divisioni, così come si sono improvvisamente appianate la differenze fra i populisti e i centristi del partito.
In parallelo si è svegliato un inatteso entusiasmo della base popolare che si è concretizzato in un coro di approvazione, paragonabile a quello che aveva accompagnato l’elezione di Obama, a cui si è aggiunta un’altrettanto inattesa raccolta di fondi a sostegno della candidata democratica.
Il cambiamento di maggiore rilevanza è, tuttavia, quello politico, emerso dal discorso pronunciato da Kamala Harris nella Convenzione del Partito democratico tenuta a Chicago.
Un discorso che noi definiremmo centrista o, al massimo, un poco a sinistra del centro. Niente aumento delle tasse, niente impegno all’assistenza sanitaria estesa a tutti, nessun attacco alle nuove perforazioni petrolifere.
Una difesa dei diritti acquisiti soprattutto riguardo all’aborto e un accenno (criticato da una parte dell’establishment economico) ad un possibile, ma assai improbabile, controllo dei prezzi dei beni alimentari. Proposta, quest’ultima, uscita più che da una vera convinzione, dalla necessità di lenire lo scontento popolare nei confronti di Biden al quale viene da molti imputato l’aumento dei prezzi verificatosi negli ultimi due anni.
Un discorso non aggressivo anche nel linguaggio: nessuna espressione violenta nei confronti di Trump, definito “uomo poco serio”, ma la cui vittoria “sarebbe devastante”. Una linea moderata che trova conferma nell’intervista rilasciata alla Cnn nella quale Kamala Harris ha proposto, in caso di vittoria, di affidare ad un esponente repubblicano un posto nel suo Gabinetto.
Contenuti realistici e pragmatici, volti soprattutto a tranquillizzare un paese certamente stanco per le troppe tensioni e a parlare a una classe media inquieta sul proprio futuro. Con la stessa prudenza viene affrontata la politica estera, nella riaffermazione dell’amicizia con Israele riequilibrata dalla promozione della “dignità, sicurezza e autodeterminazione del popolo palestinese”.
Con lo stesso equilibrio vengono gestite le omissioni, per cui non c’è alcuna parola riguardo alla futura politica commerciale degli Stati Uniti, problema che è per noi di primario interesse, ma che viene opportunamente omesso, così come non trova posto alcuna presa di posizione esplicita nei rapporti con l’Europa. Ugualmente non vi è alcuna indicazione sulla futura politica nei confronti di Cina e Russia.
E’ molto interessante notare che, di fronte a una metamorfosi così profonda e al nuovo accento moderato di Kamala Harris, non vi sia stata alcuna opposizione nemmeno dalla parte più radicale del partito democratico.
L’abilità della Harris è stata proprio quella, ormai comune a tutte le democrazie in campagna elettorale, di non concentrarsi su un discorso programmatico, ma di toccare in modo esclusivo le corde che possono maggiormente influenzare il voto.
Un discorso elettorale che lascia gli osservatori più attenti con molti punti interrogativi su quale sarà l’effettiva politica di un’eventuale presidenza Harris ma che, secondo tutte le analisi demoscopiche, ha già profondamente cambiato le intenzioni di voto. Donald Trump, che poche settimane fa agiva come se avesse già vinto, si comporta ora quasi come un inseguitore. Naturalmente nulla è ancora certo perché, anche se nel voto popolare si profila oggi un certo margine in favore di Kamala Harris, nel voto dei delegati che dovranno direttamente eleggere il Presidente, è ancora in leggerissimo vantaggio Donald Trump.
A poco più di due mesi dal voto la partita è quindi ancora aperta e assisteremo a molti colpi di scena, cominciando da come si svolgerà l’attesissimo confronto televisivo previsto per il 10 settembre. Un confronto che sarà totalmente diverso da quello che vi è stato fra Donald Trump e Joe Biden, all’origine di tutti i cambiamenti recenti.