La crisi colpisce soprattutto i più deboli. E’ ora di intervenire
Ascensore sociale. Con la crisi la famiglia sta diventando bene di lusso.
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 19 maggio 2013
E’ ormai dottrina comune che, in quasi tutti i paesi del mondo, le differenze di reddito sono da trent’anni in aumento. A parte rare eccezioni, fra le quali possiamo elencare i paesi scandinavi e nell’ultimo decennio il Brasile, le distanze tra ricchi e poveri non fanno che crescere. Crescono negli Stati uniti, crescono nella quasi totalità dei paesi europei a cominciare dall’Italia, crescono in Cina, in India e negli altri paesi in via di sviluppo. Il processo è in corso fin dagli anni ottanta, con la finanziarizzazione e la globalizzazione dell’economia, che hanno tolto potere d’acquisto alle classi sociali che sarebbero invece in grado di consumare di più. Si è creato insomma un serio paradosso: si vorrebbe che la gente consumasse molto ma, nel frattempo, la si paga sempre meno. Non è difficile concludere che questa follia sia stata determinante nel produrre gli squilibri che sono all’origine della crisi economica.
Ad ormai molti anni dall’inizio della presente crisi questo processo non sembra arretrare ma, anzi, si radica sempre più profondamente nella nostra società.
E’ stata pubblicata di recente negli Stati Uniti un’autorevole e raffinata ricerca della Brookings che arriva a conclusioni desolanti: non solo la differenza fra ricchi e poveri continua a crescere ma l’appartenenza al gruppo dei ricchi o dei poveri è sempre più rigida. I figli dei ricchi rimangono ricchi e i figli dei poveri rimangono poveri.
In una società nella quale si dice che non si deve più parlare di classi sociali l’appartenenza ad una classe è invece sempre più importante ed è tendenzialmente permanente.
L’ascensore sociale, simbolo di una società che nel bene e nel male era capace di fare salire tutti, prende ora a bordo solo quelli che hanno i soldi per pagare il biglietto.
Siamo cioè di fronte a tre decenni di grandi contraddizioni : i diritti civili e politici hanno fatto quasi ovunque sostanziosi progressi ma le ingiustizie nel campo economico e sociale continuano a crescere.
Uno dei principali rimedi di fronte a questi disagi è la famiglia. Essa ha costituito e tuttora costituisce la principale difesa contro l’aumento della disoccupazione, la diminuzione dei salari e le difficoltà delle nuove generazioni.
Tuttavia anche la famiglia ha dei limiti di resistenza e, soprattutto, viene messa in grave sofferenza da queste terribili mutazioni.
A questo proposito voglio riassumere le conclusioni di un’altra recente ricerca riportata dall’Economist.
Da essa emerge che ormai in Gran Bretagna esistono oggi tre tipologie di famiglia, con caratteristiche estremamente diverse fra di loro. Nella prima, costituita da professionisti e persone fornite di un reddito elevato, i matrimoni sono relativamente più stabili e i figli nati all’interno del matrimonio molto più numerosi rispetto al secondo gruppo, costituito dalle persone con reddito più modesto, dedite a lavori manuali o di routine. In questa seconda categoria, soprattutto per la caduta del potere d’acquisto, abbiamo meno matrimoni e sempre meno figli cresciuti nell’ambito del matrimonio.
Vi è poi una terza tipologia di famiglia, formata da emigranti soprattutto asiatici, nella quale i matrimoni sono più frequenti e molto più alta la percentuale dei figli nati all’interno del matrimonio.
Col passare del tempo i comportamenti di questa terza tipologia di famiglia tendono naturalmente a collocarsi all’interno delle due categorie precedenti.
Sarebbe certamente importante avere ricerche altrettanto rigorose riguardo all’Italia ma l’osservazione quotidiana ci porta a conclusioni analoghe, e cioè che, a causa delle evoluzioni economiche e delle politiche pubbliche, il matrimonio e la famiglia stanno diventando un bene di lusso, a scapito delle affermazioni che ogni giorno ci ripetono che la famiglia è l’unico fondamento della nostra società.
I cambiamenti economici a cui assistiamo stanno radicalmente minando questo fondamento. E’ ora di intervenire prima che sia troppo tardi.
Romano Prodi