La crisi demografica e il ruolo dei migranti
Cambi di passo – La crisi demografica e il ruolo dei migranti
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 30 marzo 2024
I dati e le previsioni sulla demografia mondiale stanno cambiando con una velocità non prevista. E sono tutti al ribasso.
Si nasce sempre meno, in tutti i paesi e in tutti i continenti. Anche se, naturalmente, la popolazione del globo continuerà a crescere fino alla fine del secolo, perché si vive più a lungo e perché, quando si parte da livelli elevatissimi di fecondità, come in Africa e in molti paesi asiatici, occorre molto tempo per arrestare la crescita.
Sono trascorsi migliaia di millenni per arrivare, intorno al 1800, al primo miliardo di viventi. Ne sono occorsi altri centoventi per arrivare al secondo e solo dodici per passare dal settimo all’ottavo miliardo, dove oggi ci troviamo. La punta massima di popolazione, intorno ai dieci miliardi, arriverà però solo intorno alla fine del secolo.
Continueremo quindi, anche se in modo molto più lento, ad aumentare, ma solo perché cresce l’aspettativa di vita e non perché nasceranno molti bambini.
A livello mondiale, da 5,1 figli per donna nel non lontano 1965, si è passati a 2,2 di oggi e, a metà di questo secolo, la fecondità media sarà di 1,8 figli per donna, cioè ben inferiore alla quota di rimpiazzo.
La quasi maggioranza dei paesi è già sotto questa quota e lo saranno più di tre quarti nel 2050. Tutti i paesi del mondo si troveranno sostanzialmente in questa situazione intorno alla fine del secolo.
In Europa questo processo è molto avanzato: siamo già a 1,5 figli per donna in Europa occidentale e nascite ancora più basse nell’Europa orientale. L’Italia è tra i paesi a bassa natalità con 1,2 figli per donna, con una punta superiore di 1,65 a Bolzano e a meno di uno in Sardegna che, col Giappone e la Corea del Sud, si colloca ai livelli minimi di tutto il pianeta.
Per dare un quadro efficacemente comprensibile di quanto avviene nel nostro paese è sufficiente constatare che, nel 2022, vi sono stati meno di sette nati e più di dodici decessi per ogni mille abitanti.
Le cause di questo impressionante fenomeno sono naturalmente tante e ben note: dalla sacrosanta diffusione dell’istruzione femminile all’aumento dell’età dei matrimoni, dal costo del mantenimento dei figli alle difficoltà abitative, dalle incertezze politiche ai cambiamenti climatici e tante altre ne potremmo elencare.
Secondo tutte le indagini disponibili è il desiderio di avere figli che ovunque si affievolisce. Persino in Cina, pur essendo stata cancellata la legge che proibiva di avere più di un figlio.
E’ come se, in tutto il pianeta, si fosse diffusa la consapevolezza che il precetto biblico di riempire la terra sia stato ormai adempiuto.
Naturalmente, in questo quadro così cambiato, le politiche di aiuto alla famiglia debbono essere rafforzate e moltiplicate, sia per un elemento di giustizia e di equità, sia per rendere meno drammatiche le conseguenze di questo mutamento antropologico.
Tuttavia questo pur elementare dovere politico non sembra essere efficace come in passato. Anche dove il sostegno alle famiglie numerose è stato sostanzioso e duraturo nel tempo, come in Francia, il tasso di natalità sta scendendo negli ultimi anni con grande rapidità, pur rimanendo ovviamente ancora a livello assai superiore rispetto al nostro paese.
Questa rivoluzione demografica ha tempi diversi nelle diverse parti del mondo, ma si accompagna sempre ad una continua crescita della vita media. La quota sempre maggiore di persone anziane porta con sé la necessità di poderosi cambiamenti politici.
A questi cambiamenti le nostre società non sono preparate e non sono fino ad ora in grado di trovare il consenso necessario per affrontarne le conseguenze.
Per quanto riguarda l’aumento della vita media (ricordando che la speranza di vita alla nascita è in Italia di 82,6 anni) è evidente che questo cambiamento dovrebbe obbligare a una vera e propria rivoluzione nell’organizzazione del lavoro e del sistema pensionistico.
Dato che l’allungamento della vita si accompagna con diverse condizioni di salute e di efficienza, la soluzione dovrebbe essere ricercata non in un semplice allungamento degli anni di lavoro, ma in un regime di flessibilità, per adattare la durata, la quantità e la qualità del lavoro e del pensionamento alle esigenze della singola persona.
Vivendo però tutti noi in una società che regola minuziosamente i tempi e le condizioni dell’attività lavorativa, mi rendo conto che quest’obiettivo è più vicino ad un’utopia che a un programma. E’ tuttavia vero che ogni cammino procede un passo per volta ed è altrettanto vero che si dovrà forzatamente camminare in questa direzione.
L’enorme differenza degli andamenti demografici tra le diverse aree geografiche obbligherà invece ad un più rapido cambiamento nel campo dei fenomeni migratori.
Oggi viviamo in una contingenza politica in cui lo spirito pubblico è ovunque fortemente orientato contro gli immigrati. Per esprimerci in modo più diretto, la realtà ci dimostra che “chi picchia in testa” agli immigrati vince le elezioni.
Una seria riflessione su tutti i dati disponibili e su tutte le possibili evoluzioni future ci spinge invece a concludere che, nel corso della prossima generazione, si aprirà una concorrenza mondiale per attrarre gli emigranti. Questa non è un’utopia, ma un cammino reso inevitabile dai cambiamenti del mondo.
Anche in questo caso si procederà per passi successivi, ma la mancanza di mano d’opera in un numero crescente di settori ci dice che, volenti o nolenti, il cammino è già in corso.
Ne dobbiamo prendere atto cominciando a prenderci cura degli immigrati dei quali abbiamo bisogno oggi. Preparandoli non solo a esercitare le funzioni che debbono svolgere, ma aiutandoli a diventare membri permanenti della nostra comunità.