La Francia malata paradigma dell’Europa
La Francia malata paradigma dell’Europa
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 14 settembre 2024
Da molte settimane il presidente della Repubblica francese sta cercando di formare il nuovo governo dopo le elezioni politiche nelle quali si sono affermati tre raggruppamenti, senza però che vi sia stato un vincitore capace di formare da solo il governo.
Al primo posto, a sinistra, si è piazzato il Nuovo fronte Popolare (NFP), seguito dai centristi vicini al Presidente Macron che, in precedenza, dominavano l’Assemblea Nazionale. Seguono, quindi, i parlamentari della destra antieuropeista (RN) guidata da Marine Le Pen.
In teoria, ed in pratica, si pensava che l’incarico sarebbe toccato a un rappresentante del NPF, isolando così l’estrema destra, sulla scia delle ripetute convergenze contro gli estremismi.
Al contrario, a similitudine di quanto spesso è accaduto in Italia, si sono scatenati i veti tra i diversi socialismi e il candidato naturale che avrebbe potuto formare l’alleanza con una coalizione fra “macronisti” e Nuovo Fronte Popolare (Bernard Cazeneuve) è stato rapidamente liquidato dall’opposizione dell’ala più radicale del NFP guidata da Jean-Luc Mélenchon.
Alla fine di lunghissime consultazioni l’incarico è stato affidato a Michel Barnier: politico di grande esperienza, certamente filo europeo, con cui ho avuto, nonostante la diversità delle appartenenze, un attivo e costruttivo rapporto di collaborazione nei cinque anni della mia presidenza della Commissione Europea.
Un politico da sempre attivo nel campo conservatore che, in occasione della campagna elettorale per le presidenziali del 2022, non solo è stato tra i più feroci oppositori ad ogni forma di immigrazione, ma si è schierato contro l’universalità del servizio sanitario e, in un tema profondamente controverso, in favore del prolungamento dell’età di pensionamento a 65 anni.
Posizioni in fondo non molto differenti da quelle dell’ultimo Macron, che aveva marcato ripetute distanze dal raggruppamento di sinistra che, ovviamente, non ha fatto mancare critiche feroci nei confronti della scelta presidenziale. Abbiamo infatti assistito a ripetute dichiarazioni secondo le quali nessun socialista e nessun rappresentante del raggruppamento di sinistra sarebbe entrato nel governo.
In questa frattura si è subito inserita l’estrema destra di Le Pen che, da un lato, non ha annunciato la volontà di censura al possibile governo Barnier e, dall’altro, ha messo da parte i continui attacchi alla presidenza e, nelle apparizioni pubbliche, ha immediatamente indossato un inconsueto abito moderato, cravatta compresa.
Anche se si tratta di una conclusione un po’ semplificata, la destra di Marine Le Pen, che era stata isolata e dichiarata sconfitta nelle elezioni politiche, ha approfittato delle divisioni altrui e sembra rientrare pienamente in gioco.
Il possibile sostegno della destra è naturalmente favorito dal fatto che, in Francia, un nuovo governo non deve essere sottoposto al voto di fiducia del Parlamento e Marine Le Pen ha margini significativi per mettere in pratica questa tattica parlamentare, soprattutto se le forze di sinistra rimangono ferme nella loro opposizione. Può insomma giocare, in molti casi, il facile ruolo del kingmaker non partecipante.
Il problema è che il governo deve presentare in tempi stretti a Bruxelles i provvedimenti necessari per la riduzione del deficit che, quest’anno, è previsto raggiungere il 5,6%, allarmando seriamente le autorità europee.
A questo si deve aggiungere, salvo limitate proroghe da negoziare con Bruxelles, che il 15 ottobre scade il termine per la presentazione del prossimo bilancio in cui dovranno essere necessariamente indicate tutte le misure da prendere, dal lato delle entrate e delle spese.
Torneranno quindi in discussione i temi controversi: dalla necessità di una politica fiscale in grado di sostenere le entrate al controllo della spesa sociale e, non ultimo, riprenderà l’eterno scontro sul sistema pensionistico.
Non si tratta di adattamenti di poco conto perché, data la precaria situazione delle finanze pubbliche, la Francia dovrà trovare risorse addizionali per almeno 30 miliardi di Euro. Le profonde differenze che esistono tra i gruppi che dovranno costituire la maggioranza dell’Assemblea Nazionale metteranno quindi duramente alla prova la pur grande capacità negoziale di Michel Barnier. E’ vero infatti che il Parlamento non ha bisogno del voto di fiducia, ma è altrettanto vero che può essere in ogni momento sfiduciato e che la legge di bilancio è l’occasione di scontro per eccellenza.
Certo, fa una certa impressione leggere nelle rigorose e coerenti pagine del rapporto Draghi le ricette necessarie per rilanciare l’Europa, preparando finalmente un ruolo nel mondo per i nostri figli e i nostri nipoti e, contemporaneamente, vedere che uno dei pilastri della stessa Unione Europea nuota in un mare di incertezze perfino su come affrontare i problemi dell’immediato futuro. Proprio per questo motivo è apparso del tutto opportuno che lo stesso rapporto Draghi abbia anteposto, alle numerose proposte di riforme settoriali, la necessità di un radicale cambiamento delle politiche fondamentali su cui si regge l’Unione Europea.
Continuando infatti a vivere di compromessi si prepara solo la fine. Una fine probabilmente lenta, e forse anche senza momenti particolarmente drammatici, ma una fine è sempre una fine.