La nuova guerra fredda un’occasione per l’euro
Nuova guerra fredda – Tre guerre tra Usa e Cina e l’occasione per l’euro
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 03 febbraio 2019
Vedremo nel prossimo futuro se l’inattesa e nefasta decisione del Presidente Trump di ritirarsi dal patto di limitazione degli armamenti nucleari ci riporterà nel terribile clima di paure degli anni della guerra fredda. Nella speranza che questa improvvisa decisione si limiti a raggiungere obiettivi di politica interna americana, dobbiamo constatare che la lotta per il primato mondiale si sta tuttavia intensificando in tutti i campi.
Si esprime ancora nel settore militare, dove i bilanci sono crescenti e si usano tecnologie sempre più raffinate, ma la sfida per la supremazia futura agisce già con pesante concretezza nel campo della tecnologia e dell’economia e, in modo più nascosto, in quello della moneta.
Cominciamo dalla guerra commerciale che ha giocato negli scorsi mesi un ruolo dominante, soprattutto nel capitolo dei rapporti fra gli Stati Uniti e la Cina. Essa continua e continuerà anche in futuro ma, come è avvenuto negli ultimi mesi, sarà messa in atto con prudenza, soprattutto perché sta emergendo quanto era facilmente prevedibile: la guerra commerciale ferisce gravemente non solo gli esportatori cinesi ma anche le imprese multinazionali, soprattutto americane che, operanti in Cina, generano addirittura il 40% delle esportazioni dell’Impero di Mezzo.
Si è perciò passati ad una una guerra non più fondata solo sui dazi ma più selettiva, nella quale si sono messi sotto processo le pratiche commerciali illecite, come le violazioni dei brevetti, dei diritti di proprietà intellettuale e della correttezza delle pratiche del commercio. Problemi che stanno deteriorando non solo i rapporti fra l’America e la Cina ma anche fra l’Europa e la Cina.
Alle guerre commerciali si sono successivamente affiancati altri due conflitti di portata ancora maggiore: la lotta per il primato scientifico-tecnologico e la sfida sul controllo del sistema monetario internazionale. Nel campo tecnologico lo scontro ha assunto una risonanza mondiale nel caso Huawei: l’azione giudiziaria intrapresa dagli Stati Uniti nei confronti della figlia del proprietario del colosso cinese e l’azione del governo americano per impedire che i paesi amici ne acquistino i prodotti, vuole colpire l’unica impresa che sta mettendo a rischio il primato americano nel campo delle future evoluzioni dei nuovi sistemi di comunicazione, fino al 5G.
La sfida tecnologica sta mutando anche gli orientamenti delle politiche dei paesi europei nei confronti dell’acquisto di aziende nazionali da parte di quelle cinesi. Non solo la nuova politica intende limitare il trasferimento di tecnologie europee in Cina ma vuole evitare la pratica per cui, tramite l’acquisto di un impresa europea, la maggior parte della fabbricazione di un prodotto sia realizzata in Cina, effettuando in Europa solo le ultime lavorazioni, sufficienti tuttavia per permettere la denominazione europea del prodotto.
Meno nota alla pubblica opinione è tuttavia la guerra monetaria, attraverso la quale si è concretamente iniziato ad insidiare il primato del dollaro che da decenni domina il sistema monetario internazionale.
Ancora una volta la Cina ha silenziosamente mosso le acque. Essa ha per decenni utilizzato la moneta americana in tutte le sue transazioni internazionali e ha impiegato una sostanziosa parte del surplus commerciale acquistando quantità enormi di titoli americani, fino a detenerne l’incredibile somma di oltre 3000 miliardi.
Oggi alla borsa di Shanghai il petrolio viene trattato nella moneta cinese (rimbimbi) e le riserve in dollari nel bilancio cinese sono ridotte a 1000 miliardi: solo il 30% delle sue riserve totali. Si tratta inoltre di titoli a breve per cui, fra un paio d’anni, anche se senza prendere alcuna decisione, la Cina potrebbe non avere alcun dollaro in cassa.
La guerra monetaria si è ora estesa: le tensioni politiche hanno intensificato il processo di uscita dal dollaro anche al di fuori della Cina. Le riserve nella valuta americana da parte della Russia sono calate dal 44% al 21% del totale. Esse sono state sostituite da un massiccio acquisto di oro e dall’aumento di riserve in Euro, nella moneta giapponese e in quella cinese. Forse è bene riflettere sul fatto che un quarto delle riserve mondiali in renminbi sono nella banca centrale russa.
È chiaro quindi che, in presenza delle crescenti tensioni politiche, la Russia non ha più alcun interesse a distruggere l’Euro, moneta sempre più appetibile anche per tanti paesi asiatici che, in presenza della volubilità americana, vogliono riequilibrare la loro eccessiva dipendenza dal dollaro ma non vogliono evidentemente sostituirla con il dominio del renminbi.
Si apre perciò una partita nuova, nella quale la moneta europea può giocare un ruolo di coprotagonista nel sistema monetario internazionale che non era certo nei piani della Germania quando l’Euro era nato. Prima o poi si riaprirà quindi la domanda del perché nel commercio fra l’Europa e la Russia si debba usare una moneta diversa da quella dominante nei due blocchi economici interessati. Anche se è opportuno sperimentare in modo prudentemente progressivo questi nuovi orientamenti non è certo un caso che, mettendo da parte i precedenti slogan, anche la Lega e la Le Pen non parlino più di uscire dall’Euro. Forse intuiscono che il pur vituperato Euro sia uno strumento indispensabile per conservare un minimo di sovranità reale in un mondo globale.