La sfida di Xi: tornare a crescere mantenendo il controllo dello Stato
Cina a una svolta – Xi e la sfida di tornare a crescere senza gli Usa
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 16 ottobre 2022
Proprio oggi ha inizio il XX° Congresso del Partito Comunista Cinese. Un avvenimento di grande importanza e di grande interesse che, secondo l’opinione dominante, riconfermerà il Presidente XI Jinping nel suo attuale ruolo di leader assoluto della politica del paese.
Si tratta di un Congresso che si svolge in una fase di complicata evoluzione dell’economia interna. La delicatezza del momento si riassume nel dato della crescita di quest’anno che sarà inferiore al 3% mentre, per un periodo di quarant’anni, il PIL cinese è aumentato all’incredibile velocità del 9%.
Il suo straordinario sviluppo si è soprattutto fondato sull’altissimo livello degli investimenti, verso i quali si è diretta quasi la metà delle risorse, mettendo in secondo piano i consumi delle famiglie e il welfare.
Oggi il sistema delle infrastrutture è ormai completato e l’eccesso di offerta di abitazioni ha gettato in una profonda crisi il mercato dell’edilizia, in passato responsabile di quasi un terzo della crescita.
A questo si aggiunge l’invecchiamento della popolazione e il crollo delle nascite che prosegue anche dopo l’abrogazione della politica del figlio unico.
Infine è arrivato il Covid che, soprattutto per gli errori di strategia nel combatterlo, ha particolarmente danneggiato l’economia, paralizzando per mesi e mesi l’attività di intere province dell’impero celeste.
A questo punto, come si diceva un tempo, la Cina dovrebbe cambiare il proprio modello di sviluppo, trasferendo ingenti risorse dagli investimenti verso i consumi famigliari, le pensioni, la sanità e mettendo finalmente mano a una riforma fiscale non solo necessaria a finanziare le nuove esigenze, ma anche a migliorare l’attuale iniqua distribuzione del reddito.
Un cambiamento estremamente difficile perché ad esso si oppongono interessi consolidati da anni. Non solo gli interessi che fanno capo al potere centrale (che negli anni di Xi ha fortemente aumentato la sua presa sull’economia), ma anche quelli delle potenti amministrazioni locali che vivono soprattutto sulle risorse provenienti dalla vendita delle aree destinate agli investimenti nell’edilizia.
La trasformazione del sistema viene resa ancora più difficile dal progressivo cambiamento della politica estera.
Il successo del passato non era infatti dovuto solo alla quantità degli investimenti, ma anche, e soprattutto, al progressivo inserimento della Cina in un contesto economico internazionale che ha reso possibile l’impressionante assorbimento di nuove tecnologie e quindi un aumento di produttività senza precedenti.
Molte delle iniziative di maggiore successo sono infatti il frutto di una crescente collaborazione economica e finanziaria con i paesi più avanzati che, insieme al progresso tecnologico, hanno fornito alla Cina impressionanti sbocchi di mercato. Basti riflettere sul fatto che, per molti anni, oltre un terzo delle esportazioni cinesi è stato generato dalle imprese multinazionali insediate nel paese.
Nel nuovo quadro internazionale, pieno di tensioni e di chiusure, la Cina, soprattutto come conseguenza della nuova politica americana, ha dovuto rallentare la propria integrazione economica con gli Stati Uniti e con l’Europa, cercando di sostituirla con proprie iniziative (come la Via della Seta) o stringendo nuovi rapporti con la Russia e con molti paesi in via di sviluppo. Il che, evidentemente, non sta producendo gli stessi positivi risultati.
Non si può dire che Xi Jinping sia contro lo sviluppo, ma è certo che lo vuole sempre di più sottoposto al controllo del Partito Comunista: meno riforme economiche e più Stato. A questo si accompagna la diminuzione dei rapporti scientifici, tecnologici e culturali con gli Stati Uniti e l’Europa e, all’interno del paese, un controllo sempre più stretto dei programmi scolastici e dei progetti di ricerca nell’ambito universitario e nei laboratori scientifici.
Nel prossimo quinquennio il nuovo presidente si troverà di fronte alla difficile sfida di raggiungere l’obiettivo che si era proposto: mantenere una crescita annua del 7%. Non sarà facile data la presenza di queste forti resistenze interne e di una politica estera interamente dedicata a sfidare, in ogni campo e con ingenti spese, l’egemonia americana.
Certo la Cina può essere orgogliosa di un passato che, nello spazio di 40 anni, ha tolto dalla fame seicento milioni di persone e portato la classe media dal 3% a oltre il 50% della popolazione. E’ tuttavia evidente che la politica di un paese che ha già raggiunto un livello di reddito capace di garantire alla maggioranza della popolazione un sufficiente tenore di vita, non possa essere la stessa politica adottata nelle prime fasi dello sviluppo.
A dispetto delle previsioni della maggioranza degli esperti, la Cina ha dimostrato di potere mantenere per lungo tempo un elevato tasso di crescita anche in presenza di un regime comunista.
Sarà però un compito molto più difficile raggiungere questo obiettivo sotto un crescente controllo dello Stato e in assenza dell’impulso che l’economia di un paese riceve dall’integrazione con le parti più dinamiche del sistema economico mondiale. Sappiamo tuttavia che, proprio nei momenti più difficili, la Cina è in grado di prendere decisioni sorprendenti.