La tregua non durerà a lungo: i rischi del vuoto politico e di programmi fantasiosi
Crescita senza governo – L’intervallo tranquillo non illuda sul futuro
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 8 aprile 2018
Con l’arrivo della primavera si usa chiudere il consuntivo dell’economia dell’anno precedente e si possono fare previsioni abbastanza fondate su quello che succederà nei mesi che restano di quello in corso.
Mettendo insieme tutti i dati in nostro possesso, dobbiamo concludere che di novità ne dovremmo avere poche. Incertezze invece, guardandoci intorno, ne abbiamo molte.
In effetti la crescita mondiale non sarà sostanzialmente diversa da quella dello scorso anno (intorno al 3,5%) e sarà distribuita in modo complessivamente ragionevole, cioè più modesta nei paesi industrializzati (2,3%) e più alta nei paesi emergenti (4,6%), spinti soprattutto dalla crescita cinese che si manterrà, come negli ultimi anni, tra il 6 e il 7%.
La crescita dell’Unione Europea sarà finalmente in linea con quella dei paesi industrializzati, mentre le previsioni sull’Italia non si discostano molto dal recente passato. Continueremo a crescere intorno all’1,5%, cioè quasi un punto in meno rispetto alla media europea.
La parte più positiva sarà ancora una volta costituita dagli investimenti industriali e dalle esportazioni, mentre i consumi aumenteranno in linea con il modesto sviluppo del reddito.
Le complicazioni politiche post-elettorali rendono naturalmente difficile l’attuazione di specifiche misure volte ad accelerare la crescita, obiettivo che rimane prioritario per un paese il cui livello di reddito è ancora inferiore a quello dell’inizio della crisi, nell’ormai lontano 2007.
Le cause strutturali del ritardo sono evidentemente molteplici e ben note: dal problema meridionale, all’invecchiamento della popolazione, dal livello del debito pubblico, al peso fiscale e all’evasione. Tutti problemi di ampio spettro che si possono affrontare solo con politiche costanti e durature nel tempo.
Abbiamo tuttavia anche anomalie che possono essere affrontate con misure specifiche. Basti pensare agli investimenti nelle opere pubbliche e nell’edilizia continuamente calati, durante e dopo la crisi, sostanzialmente a causa degli impedimenti burocratici e della costante paralisi delle procedure d’appalto. Sarebbe sufficiente metterli in linea con quanto avviene negli altri paesi europei per riportare la nostra crescita al loro livello.
In questo quadro, che si presenta con così poche sorprese, abbiamo però due elementi di incertezza dei quali dobbiamo tenere conto.
Il primo riguarda lo scenario globale, caratterizzato dal possibile inizio di una guerra commerciale, di cui abbiamo già avuto molti segnali negli scorsi giorni. Si tratta soprattutto di una resa dei conti fra Stati Uniti e Cina ma che, se fosse portata avanti, frenerebbe la crescita di tutta l’economia mondiale.
Finora questa guerra è iniziata con grandi minacce ma con misure concrete assai prudenti anche perché l’economia globale è così intrecciata che non è nemmeno facile capire chi ci guadagna e chi ci rimette dall’imposizione di nuove barriere doganali. Il rischio di un’escalation è tuttavia concreto, così come concrete sono le possibilità di incidenti di percorso. Anche se dovremo seguire con attenzione l’evoluzione di questa battaglia, dobbiamo tuttavia riconoscere che questo è un campo nel quale noi italiani siamo semplici spettatori.
Vi è invece un fattore di incertezza che dipende dalle nostre politiche passate e presenti ed è la possibilità di un aumento dei tassi di interesse, cioè di una lievitazione del famigerato “spread”, che verrebbe a gravare in modo rilevante sui nostri conti pubblici.
Riguardo a questo problema lo scenario si presenta più tranquillizzante di quanto non si fosse pensato, anche in previsione di un risultato elettorale che rende assai complicata la formazione del governo. In primo luogo perché la Banca Centrale Europea persegue una politica di bassi tassi pur in presenza di una diminuzione del Quantitative Easing, ma anche perché una prudente politica del Tesoro ha accresciuto sensibilmente la quota del debito pubblico in mani italiane e ha parallelamente aumentato la durata media del debito. Anche se quest’ultimo non è certo calato in quantità assoluta, il fabbisogno finanziario dell’anno in corso per il suo rinnovo è sostanzialmente diminuito: nel 2018 verranno a scadere, e dovranno essere quindi rinnovati, CCT e BTP pari a 157 miliardi, cifra gigantesca ma inferiore di ben 46 miliardi rispetto allo scorso anno.
Queste considerazioni, aggiunte al positivo andamento della nostra bilancia commerciale, dovrebbero garantirci una sufficiente tutela di fronte alle ventilate paure di una speculazione internazionale.
Questo provvidenziale intervallo non ci protegge naturalmente dai rischi di un troppo prolungato vuoto politico e da eventuali programmi che non tengano conto della realtà concreta in cui viviamo.
Ci troviamo ancora in una fase di quiete, ma non dobbiamo dimenticare che si tratta solo di un intervallo e che, in quanto tale, non sarà troppo lungo.