Ora nessuna pace è possibile: la debolezza USA con Israele

La debolezza degli Usa con l’alleato israeliano

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 12 ottobre 2024

Manca meno di un mese alle elezioni americane e le infinite indagini demoscopiche sulle intenzioni di voto cambiano quasi quotidianamente il nome del probabile vincitore confermando, anche con i numeri, la realtà di una società americana divisa e polarizzata come mai in passato.

Alle tradizionale tensioni razziali si sono infatti aggiunte le fratture fra i cittadini delle aree metropolitane e gli abitanti delle campagne, fra i più istruiti e i meno istruiti, fra gli Stati costieri e quelli dell’America profonda. Perfino il dualismo fra ricchi e poveri è diventato un muro impenetrabile da quando l’ascensore sociale ha mostrato di essere sempre meno efficace.

In questa campagna così aspra i temi dominanti sono, come avviene oggi in ogni confronto politico, l’emigrazione e le imposte. Prospettare una maggiore severità verso gli immigrati e promettere la diminuzione delle tasse sono ormai il ritornello obbligatorio dei candidati di tutte le competizioni elettorali del pianeta.

Così avviene negli Stati Uniti, dove si aggiunge il tradizionale confronto sull’economia, nel quale i democratici possono vantare risultati molto positivi in termini di crescita e di occupazione, ma sono sotto accusa per gli aumenti del costo della vita.

Tuttavia, a differenza di molte passate campagne elettorali nelle quali la rilevanza della politica estera era del tutto trascurabile, essa è diventata un capitolo di crescente importanza nel confronto elettorale del prossimo cinque novembre.

Questo non riferito alla guerra di Ucraina, anche se i contendenti hanno, su questo capitolo, posizioni visibilmente differenti.

Kamala Harris prosegue infatti la linea di attivo supporto all’Ucraina con armi e risorse finanziarie, mentre Trump, almeno a parole, si dimostra molto più attento a prendere in considerazione le ragioni della Russia.

Questo tema, così importante per noi, ha invece un peso trascurabile al di là dell’Atlantico. Nel campo della politica estera l’attenzione, infatti, è tutta rivolta al conflitto israeliano-palestinese.

Non solo per gli antichi e persistenti legami fra Stati Uniti e Israele, ma per la forte presenza di cittadini provenienti da Palestina e Libano negli Stati che, in conseguenza della particolare legge elettorale americana, saranno decisivi per l’elezione del Presidente.

Queste minoranze che, votando massicciamente per Biden, sono state determinanti per la sua vittoria, si dimostrano infatti decisamente più distanti rispetto al passato nei confronti del partito democratico.

Ad esso rimproverano di non avere avuto la necessaria autorità nei confronti della politica seguita da Netanyahu in reazione alla carneficina compiuta da Hamas il 7 ottobre del 2023.

Il distacco ha preso un’ampiezza crescente in conseguenza della progressiva distruzione di Gaza e delle decine di migliaia di morti che hanno accompagnato questa tragedia, mentre i tentativi di riavvicinamento, perseguiti con tenacia nelle ultime settimane, trovano un’ulteriore difficoltà specialmente presso la comunità libanese, giustamente angosciata per la drammatica situazione del proprio paese.

Si rimprovera a Biden la debolezza nei confronti di Netanyahu, una debolezza che si è materializzata in una politica contraddittoria, e quindi inefficace. Da un lato ha infatti dimostrato una crescente durezza verbale nei confronti della politica di Netanyahu mentre, dall’altro, ha continuato a fornire gli aiuti finanziari e militari che hanno permesso ad Israele di combattere, finora vittoriosamente, su tanti fronti, cominciando da Gaza per finire con gli Hezbollah, il Libano e l’Iran.

Un aiuto certamente importante se si pensa che, nell’ultimo anno, si calcola abbia raggiunto i 16 miliardi di dollari.

Nonostante questo decisivo sostegno, Netanyahu ha portato avanti una strategia propria, del tutto indifferente nei confronti degli ammonimenti americani, rifiutando perfino la proposta di tre settimane di tregua che pure erano il frutto di un tentativo di mediazione portato avanti dall’Egitto e dal Qatar.

Naturalmente questa debolezza, o perlomeno questo comportamento contraddittorio, nei confronti di Israele è il frutto anch’esso di un elemento di politica interna, cioè del tentativo di evitare l’accusa di avere abbandonato un paese non solo tradizionalmente legato e amico degli Stati Uniti, ma anche molto influente nella politica interna americana.

La conseguenza è che fino alle prossime elezioni e, molto probabilmente fino all’insediamento del prossimo Presidente, non assisteremo ad alcun cambiamento della politica americana nei confronti di Israele.

Nel frattempo tutto il Medio Oriente è percorso da drammi e tensioni che non possono durare a lungo senza provocare esiti ancora più esplosivi. Milioni di sudanesi in fuga dalle lotte sanguinose in corso nel loro paese premono sui confini dell’Egitto, lo Yemen e il corno d’Africa non trovano pace, gli Houthi bloccano il mar Rosso con i loro droni e le tensioni fra Sciiti e Sunniti non trovano limiti in questo Medio Oriente oggi senza accordi e senza autorità.

A tutto questo si sono aggiunti gli inauditi e senza precedenti attacchi dell’esercito israeliano alle basi Onu a sud del Libano contro le Forze di Pace.

Si sono creati un disordine, una tensione e una paura tali che solo una conferenza internazionale potrebbe cercare di alleviarne le conseguenze, ma temo che questo pur modesto obiettivo rimanga un semplice desiderio, anche dopo le elezioni americane.

 

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
ottobre 12, 2024
Articoli, Italia