Sulla guerra l’Europa è senza voce. Bene Schlein, ma recuperi i moderati
Prodi: “Sul Conflitto l’UE è senza voce. bene Schlein, ma recuperi i moderati”
Intervista di Arturo Celletti a Romano Prodi su Avvenire del 12 aprile 2023
Le parole chiare sulla guerra: “con un accordo tra Cina e Usa finirebbe in un’ora. ma questo accordo non c’è e non c’è un’Europa capace di avere un ruolo.
Macron? Sinora il suo contributo a una politica estera comune non è stato all’altezza delle parole, non resiste alla tentazione di sventolare la bandiera francese”.
“Sul PNRR occorreva puntare su grandi progetti, invece si è deciso di spargere risorse su migliaia di amministrazioni”.
La preoccupazione per la situazione economica: “L’inflazione è pesantissima e ingiusta, in Italia si abbatte sui poveri. Il governo lavori per far capire chi ci guadagna e chi ci perde”.
Parliamo da cinquanta minuti con Romano Prodi. È una grande fotografia dell’Italia, dell’Europa, del mondo. Delle emergenze e delle incognite con cui siamo e saremo chiamati a fare i conti. E delle sfide che ci attendono. Il Professore lega economia, immigrazione, guerra e racconta un’Europa sempre più debole davanti a una partita giocata sempre di più solo da due grandi players: Cina e Stati Uniti. Parla di PNRR. Si sofferma su quella che definisce una vera gigantesca emergenza: l’inflazione. Poi ragiona sul “suo” Pd e sulla traversata che attende Elly Schlein.
«Il Pd è uscito da una cura ricostituente e ha preso peso. Ha fatto la ginnastica che serviva e ha nuovi atleti e una nuova squadra. La partita vera però comincia ora. Soltanto ora con le prime gare». Romano Prodi per qualche istante resta in silenzio, poi anticipa la nostra domanda con un inatteso parallelo con un mondo che ama: quello del ciclismo. «Anche Filippo Ganna si era allenato bene, ma non ha vinto la Parigi-Roubaix».
Sfidiamo il professore con tre domande nette: teme che Elly Schlein possa fare la stessa fine di Ganna? Vede qualcosa che non la convince nelle prime mosse della neo segretaria? Teme che la nuova squadra sia troppo sbilanciata a sinistra? Il professore ora tende la mano: «Non giudico la squadra, è tutto così nuovo. Dico solo che Elly Schlein ha le carte in mano per poter cambiare le cose. Bisogna però aspettare e capire se le gioca bene. Ma c’è fiducia. E soprattutto c’è attesa e le attese non vanno disattese».
Ha magari un consiglio da darle?
I consigli non devono venire da me, ma da una squadra che discute, che si confronta, che costruisce insieme. Un leader deve avere la forza di aprirsi ai contributi esterni. E deve capire che i personalismi portano solo a inevitabili sconfitte. Se si vuole vincere serve il compromesso. Anzi serve un compromesso alto. E serve la forza di discutere sul futuro. Di dire basta alla politica del giorno per giorno. Di progettare. Di fare scelte guardando a un orizzonte lungo.
Poi ci sarà il tema delle alleanze.
Quel tema già c’è. Per vincere la coalizione è vitale, i moderati vanno recuperati. Passare dal 20 al 50 per cento è dura da soli! Serve un dialogo vero al centro e a sinistra. Non si tratta di dare vita a un Ulivo 2.0, ma di capire che le due volte che il centrosinistra ha vinto l’ha fatto con una coalizione larga.
Professore Emmanuel Macron di ritorno da Pechino invita gli europei a non essere più vassalli degli Stati Uniti.
Una cosa è auspicare un più forte protagonismo dell’Europa, un’altra è operare concretamente perchè questo avvenga. L’Unione europea è più grande della pur grande Francia e Macron non può certo da solo dettare le linee dell’Unione. Ha bisogno di condividerle e di farle condividere. Sino ad ora il contributo di Macron ad una politica estera e militare comune europea non è stata all’altezza delle sue parole. Anche nel viaggio in Cina ha privilegiato l’accento francese connotando la missione con il dominante ruolo giocato dai produttori francesi. Macron, per le caratteristiche della Francia, ha la maggiore responsabilità e la maggiore possibilità di costruire una politica estera comune europea, ma fatica a resistere alla tentazione di sventolare soprattutto la bandiera francese.
Con un accordo tra Cina e Stati Uniti finirebbe in un’ora. Ma quest’accordo non c’è anche perchè non c’è un’Europa capace di avere un ruolo. Di avere una voce. Di esprimere una linea comune sulla politica estera. La Cina vuole staccare l’Europa dagli Stati Uniti e gli Stati Uniti vogliono allontanare l’Europa dalla Cina: ognuno si muove per distanziare l’Europa dal suo avversario e così la continuazione della guerra in Ucraina è sempre più la conseguenza di un terribile gioco superiore.
Cosa è cambiato in questi 14 mesi di conflitto?
Vedo un cambiamento simmetrico: la Ue è più debole rispetto agli Stati Uniti e la Russia è più debole rispetto alla Cina. Vedo due grandi protagonisti trascinati dalla lotta per il primato mondiale, vedo un’alleanza Russia-Cina ancora solida, ma con i rapporti di forza sempre più a vantaggio di Pechino e vedo una tragedia immane e senza fine. Una guerra fratricida. Un odio che durerà all’infinito.
Poi c’è la nostra Europa senza voce…
È terribile ma è così. Ed è solo colpa nostra: basterebbe una delegazione Ue, forte e condivisa, in missione in Cina e negli Stati Uniti. Basterebbe un pressing deciso… Purtroppo non c’è nulla di quello che servirebbe, c’è solo una presenza sempre più debole dell’Europa.
Professore il dramma inflazione è figlio del dramma guerra?
Questa guerra ha aggravato un processo già in corso. Non l’ha provocato, non l’ha scatenato. L’ha aggravato e ha reso più complicata una soluzione. Voglio spiegarlo con un’immagine semplice: il costo del pane. È aumentato il gas per fare andare i forni, è aumentato il grano. Ma quell’aumento doveva incidere sul prezzo del pane per venti forse trenta centesimi al chilo e invece il pane è cresciuto di oltre un euro. Non basta. Gas e grano hanno cominciato a scendere, ma i prezzi del pane hanno continuato a salire. Ecco quello che succede: l’inflazione pesa tra il 7 e il 9 per cento, la spesa dei beni alimentari, a cui le famiglie non possono rinunciare, è tra il 12 e il 13 per cento.
Questi numeri quanto la preoccupano?
Non sono preoccupato, sono preoccupatissimo. L’inflazione non è solo pesante, è anche ingiusta: piove sul bagnato. In un Paese come l’Italia dove i salari sono bassi l’inflazione colpisce le categorie più deboli, si abbatte sui poveri.
E allora si è deciso di spingere sul freno.
Il freno lo hanno già usato le banche centrali e i tassi sono saliti abbastanza. Spero che non sia necessario andari avanti ancora. Ora serve altro, servono politiche di aiuto.
E un controllo dei prezzi?
So per esperienza che il controllo sui prezzi non funziona. Mi basterebbe che il governo lavorasse per creare una coscienza. Per far capire chi ci guadagna e chi ci perde. Serve un confronto limpido, approfondito, sostenuto da dati analitici. Serve che la gente si renda conto, così come sta avvenendo in altri paesi europei.
Torniamo al Pd: lei diceva che è ora di aprirsi ai riformismi.
Bisogna coinvolgere tutti. Le associazioni, i sindacati, le imprese… E poi bisogna parlare con la gente. In un Paese in cui non vota più nessuno la rinascita democratica si costruisce solo coinvolgendo tutti. Poi c’è un’altra sfida: uscire con una politica economica e sociale coordinate tra di loro.
Si spieghi
Bisogna sempre saper vedere le conseguenze delle cose. Mi capita spesso di guardare le impalcature e di riflettere sull’opportunità dei bonus edilizi: nella mia esperienza vedo che molte di quelle case appartengono a persone che non avevano bisogno di nessun incentivo per sistemarle. E comunque nella mia testa ho da sempre una soglia: mai un incentivo superiore al 66 per cento, più ci si avvicina al 100 e più cresce la tentazione di un accordo a spese dello Stato. Figuriamoci quando si arriva al 110 per cento.
Il PNRR non decolla: a due anni dal varo è stato speso solo il 6 per cento delle risorse.
Pensavo che si sarebbe puntato su grandi progetti capaci di cambiare profondamente il Paese. Di dare una scossa. Salute. Industria. Infrastrutture. Ricerca. Grandi capitoli per far fare all’Italia uno scatto in avanti. Non è andata così. Almeno fino ad ora. Si è deciso di distribuire le risorse in migliaia di amministrazioni, per definizione incapaci di impostare i progetti. Così assistiamo alla sostituzione degli amministratori con i consulenti.
L’opposizione al governo Meloni sarà complicata?
Meloni è stata abile a scegliere la via obbligatoria di avere un ministro degli Esteri “americano” e uno dell’Economia “bruxellese”, ma i fronti aperti nella maggioranza sono numerosi e crescenti. Le tensioni sulle nomine, la divaricazione sull’Ucraina, le grandi scelte economiche… A una coalizione serve un percorso per crescere, per affermarsi, per imparare a capirsi. E invece si cresce improvvisamente e si crolla improvvisamente. I politologi americani li chiamano fireworks, fuochi d’artificio. Non vorrei che dopo Grillo, Renzi e Salvini presto fosse il turno di Meloni.
Che cosa le resta di Cutro?
Cutro è la terribile immagine di una tragedia infinita. Troppi sono morti e troppi continueranno a morire se non puntiamo su strumenti nuovi. Oggi il Mediterraneo è un deserto. La sfida è trasformarlo in un mare di pace costruttiva. E io penso ad esempio a trenta università paritarie dove i ragazzi del Nord e del Sud del Mediterraneo possano vivere e studiare insieme. Questa è politica attiva. Questa è la grande sfida che chiama l’Italia a giocare da protagonista in Europa.