Il mio piano per il Sahel: acqua, infrastrutture, salute, scuola, energia
Intervista di Vincenzo Giardina* a Romano Prodi per Famiglia Cristiana del 20 novembre 2013
Il Professore sta per presentare al Segretario generale delle Nazioni Unite il suo piano per lo sviluppo della martoriata regione del Sahel: acqua, infrastrutture, salute, scuola, energia. Queste le priorità. Ma Prodi parla anche dei rapporti con la Cina, dei flussi migratori, dei rischi di futuri conflitti per l’acqua. E di Expo 2015, perché anche l’appuntamento milanese ha molto a che fare col Continente nero.
«Il risveglio africano coincide con l’intensificarsi dei rapporti con la Cina», dice Romano Prodi, presidente della “Fondazione per la collaborazione tra i popoli” e inviato speciale del Segretario generale dell’Onu per il Sahel. Di Africa, e di rapporti fra il Continente nero e il gigante asiatico, il professore ha parlato di recente proprio a Pechino dove, col sostegno dell’Accademia cinese per le scienze sociali ha promosso la conferenza “Africa: 54 Stati, una unione”.
Un obiettivo imprescindibile, quello dell’integrazione, perché l’Africa possa consolidare i progressi economici degli ultimi anni e intraprendere con decisione un cammino di sviluppo. E un obiettivo raggiungibile, secondo Prodi, anche grazie all’aiuto della Cina: il Paese in assoluto “più interessato” all’Africa e alle sue risorse naturali, ma anche quello che più di ogni altro sta favorendo il “risveglio” del Continente.
– Professore, è trascorso più di un anno da quando è stato nominato inviato speciale del Segretario generale dell’Onu per il Sahel. Qual è il bilancio di questa esperienza?
«In teoria l’incarico è terminato il 7 ottobre, ma mi hanno chiesto di continuare ancora qualche mese. Penso che a fine gennaio si concluderà perché siamo in grado di consegnare il progetto e le idee per il futuro. Tutto, poi, sarà portato avanti da strutture permanenti. Abbiamo lavorato a un progetto multiplo, sostenuto dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che prevede cinque direttrici d’intervento.
- La prima è cibo, acqua e nutrizione, una scelta naturale in una regione dove manca tutto.
- La seconda sono le infrastrutture, perché se non si crea un sistema di comunicazione efficiente e moderno non ci potrà mai essere un’economia viva.
- La terza è la salute.
- La quarta la scuola.
- La quinta è un piano innovativo di energia decentrata. Il Sahel non ha alcuna rete elettrica ma è la regione del mondo che ha più sole. Portare a milioni di famiglie energia decentrata è la via migliore per cambiare il volto dell’area. Senza elettricità non c’è la televisione, non si può studiare, non si può pompare l’acqua».
“Sono angosciato che non si riesca a raccogliere risorse sufficienti per il Sahel”
– Quali sono i Paesi coinvolti dal progetto?
«Il piano è stato fatto proprio dai capi di governo di cinque Stati. Il Sahel è una grande fascia che va dall’Atlantico all’Eritrea, lunga più di 5.000 chilometri e larga mille, ma abbiamo scelto i cinque Paesi centrali perché gli altri hanno problemi diversi. Quando parlo di Sahel lo faccio dunque in modo restrittivo, riferendomi a Mauritania, Mali, Ciad, Burkina Faso e Niger».
– In concreto, quali sono le prossime tappe?
«L’Onu definirà le priorità, mentre la sorveglianza sull’esecuzione sarà fatta dalla Banca africana di sviluppo. In questo modo l’Africa si riappropria completamente dei propri obiettivi. Il grande problema sono le risorse finanziarie. Devo essere sincero: quando avevo cominciato il lavoro come inviato speciale il problema del Mali era il più sentito, mentre adesso i governi parlano di Siria. Ogni dramma nuovo fa sembrare che quello vecchio non esista più. Sono angosciato che non si riesca a raccogliere risorse sufficienti. Anche per questo abbiamo proposto che i piani non siano messi a punto dagli uffici di New York ma localmente. E che i singoli Paesi possano donare sia in denaro che “in kind”, cioè realizzare direttamente le opere necessarie e metterci su la loro bandiera. L’obiettivo è evitare spese generiche, tenendo conto delle critiche di chi vuole sempre sapere dove vanno a finire i soldi. È un modo per spingere a donare, cercando di venire incontro alle caratteristiche dei singoli Paesi. La Cina, ad esempio, può essere protagonista di un grande piano per l’energia solare decentrata. In questo settore è il produttore principale e più avanzato. Ha un’enorme capacità in eccesso perché in Europa ci sono meno incentivi e quindi la domanda è in calo. La Germania e i Paesi scandinavi, invece, potrebbero costruire ospedali e scuole. E l’Italia concentrarsi su agricoltura e irrigazione, settori dov’è all’avanguardia. Le specifiche vocazioni si definiranno passo dopo passo».
– Negli ultimi dieci anni l’economia dell’Africa è cresciuta in media del 4,8%, molto più dell’Europa o degli Stati Uniti. Secondo un sondaggio diffuso a inizio ottobre, però, il 53% degli abitanti del Continente considera le condizioni del proprio Paese “cattive” o “molto cattive”…
«Non mi stupisco che siano cattive. I Paesi del Sahel sono gli ultimi in ogni classifica mondiale. L’Africa, nel suo insieme, è in condizioni pessime. Ma questo non contraddice il fatto che, per la prima volta, in questi ultimi sette o otto anni il Continente ha cominciato a muoversi. Quando si parte da zero prima che le condizioni da pessime diventino solo cattive ci vuole un bel po’ di tempo. E prima che da cattive diventino buone ce ne vuole ancora di più».
“I flussi migratori si eliminano con lo sviluppo”
– La Cina coopera con l’Africa o la sfrutta?
«La Cina è il Paese più interessato ad avere rapporti con l’Africa perché il Continente è il primo esportatore mondiale di cibo, di energia e di materie prime. La Cina ha una sua convenienza ad acquistare questi beni, certo, ma poi li paga. E gli economisti sono concordi nell’ammettere che il risveglio dell’Africa, pur con tutti i suoi limiti, è cominciato solo quando la Cina ha iniziato a importare in modo massiccio. Poi, naturalmente, ci sono parecchi problemi. Come le rivolte nelle miniere per il trattamento dei lavoratori, in alcune zone, o le tensioni relative al controllo del commercio al minuto, in altre. La Cina, del resto, è l’unico Paese ad aver a che fare con tutta l’Africa. I francesi trattano con l’area francofona, gli inglesi con quella l’anglofona, gli Stati Uniti con parte dell’Africa occidentale e con l’Egitto. Pechino, invece, ha relazioni con 50 paesi africani su 54».
– L’integrazione economica e politica del Continente può condizionare i flussi migratori verso l’Europa, riducendone l’intensità?
«I flussi migratori si eliminano solo con lo sviluppo. Ma si tratta di un processo lentissimo perché, mentre nella fascia mediterranea più vicina all’Europa l’espansione demografica è molto diminuita, nella zona sub-sahariana continua in modo impressionante. In alcuni Paesi, addirittura, la linea di crescita è in ulteriore aumento. In Niger la popolazione raddoppierà nell’arco di 20 anni perché non è calato il tasso di natalità e si è abbassato – se Dio vuole – il tasso di mortalità infantile. In Mali l’età mediana, quella soglia al di sopra e al di sotto della quale c’è lo stesso numero di persone, è di poco inferiore ai 18 anni. Oggi il rimedio che funziona di più è l’accordo con i Paesi di partenza dei migranti, in modo da evitare almeno tragedie come quelle di Lampedusa. L’Italia aveva sottoscritto intese con Muammar Gheddafi, ma poi c’è stata la guerra di Libia e ora non si sa con chi fare accordi».
– Restiamo in Italia. Al centro dell’Expo 2015 di Milano ci sarà Il tema dell’alimentazione…
«Un fondo per l’agricoltura e l’acqua: il primo punto del programma per il Sahel è questo. Le potenzialità ci sono. L’acqua c’è ma bisogna costruire impianti moderni di irrigazione che non la sprechino. Quelli usati adesso sono “ad acqua fluente”. Con un metodo appena più moderno si consumerebbe un decimo dell’acqua e con i sistemi israeliani solo un centesimo. Bisogna, allora, fornire le risorse e i mezzi tecnici. Quanto a Milano, avevo suggerito che si approfittasse dell’Expo per candidare la città come punto di riferimento di tutto il mondo dell’Onu per l’acqua. Come la Fao a Roma per l’alimentazione… Un problema comune è che i grandi fiumi arrivano secchi alla foce. Lungo il corso del Nilo l’Etiopia costruirà nuove dighe e ci saranno conflitti. Anche le dighe turche sul Tigri e l’Eufrate condizioneranno i flussi e chissà come andrà a finire la Mesopotamia. In Africa ci sono problemi simili con lo Zambesi. Servirebbe un’autorità che regoli non solo gli aspetti tecnici, come l’irrigazione, ma anche le questioni legali, economiche e politiche. I fiumi possono essere una grande ricchezza e una grande tragedia per i Paesi. Dalla creazione dell’autorità, però, siamo ancora ben lontani. Sarebbe costosa, ma sono queste le decisioni che fanno fare progressi all’umanità».
* Vincenzo Giardina è un giornalista dell’agenzia di stampa Misna.