Il populismo presto si esaurirà. Il PD si apra e potrà approfittarne
Prodi: “Questo populismo è destinato a esaurirsi, Trump e la Brexit ci hanno reso più europeisti”
“Il populismo presto si esaurirà. Il Pd si apra e potrà approfittarne”
Intervista di Fabio Martini a Romano Prodi su La Stampa del 1 maggio 2019
Oramai mancano 26 giorni a quelle elezioni Europee che dovevano segnare uno spartiacque, una battaglia epocale tra europeisti e “negazionisti” dell’Unione, ma la discussione pubblica quasi inavvertitamente ha cambiato di segno. L’Europa come destino non è più in discussione e Romano Prodi, che nelle ultime settimane ha parlato a migliaia e migliaia di persone in convegni sul futuro del continente, racconta così questo cambiamento: «Ti accorgi immediatamente che rispetto ad un anno fa c’è maggiore inquietudine tra la gente che capisce subito, quando dici: badate che si fa presto a fare le cose nuove con la guerra, mentre ci vuole tempo a farle con l’accordo. Ma poi durano. Soprattutto ci sono due eventi che hanno aperto gli occhi a tanti…».
Eventi italiani? O la tormentata “exit” inglese sta diventando un maxi-spot per tutti i fautori dell’Unione?
«Ci sono due grandi semplificazioni, tipiche dei sovranisti, che hanno reso tanti più europeisti di prima: la Brexit e Trump. Dicevano i fautori di Brexit: lasciamo la prigione europea e tutto sarà risolto. Non riescono ad uscire perché gli interessi e i legami sono troppo forti e non riescono a trovare neppure una volontà positiva per uscire. Trump ha detto: America first. A quel punto gli europei hanno capito che la solitudine è rischiosissima: America first, Cina second e Brexit ci fanno capire quanto sia importante stare insieme».
In Spagna i progressisti hanno vinto marcando la propria natura riformista ed europeista: un messaggio anche per l’Italia, per il Pd?
«Certamente. Non so se si possa definirlo vincitore, ma il risultato positivo di Sanchez deriva anche dal fatto che ogni settimana elaborava un nuovo tema di discussione pubblica, facendo uscire dal circuito interno di partito le proposte sul futuro di quel Paese. Ma la lezione spagnola non basta. La grande, nuova scommessa nei prossimi mesi è inedita. Si giocherà su due piani: i partiti devono mettere in discussione le loro forme tradizionali di aggregazione, rinunciando ai loro circoli ristretti ai quali partecipano solo quelli che si giocano il posto in lista, la successione e l’eredità. Bisogna rianimare tutti i corpi intermedi, vecchi e nuovi. La politica si rinnova solo discutendo assieme. E solo se toma a rassicurare i cittadini sulle cose per loro importanti: lavoro, scuola e salute».
La Spagna dice che se i progressisti tornano a fare i progressisti, si ferma anche il populismo?
«E’ proprio così. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una crisi di tutti i partiti tradizionali, ma la sinistra ha sofferto di più perché il neo-liberismo feriva maggiormente i ceti sociali che erano i tradizionali elettori del centro-sinistra. L’aumento delle disparità, le nuove tecnologie e la globalizzazione hanno accelerato questa crisi. E’ ora che i riformisti tornino a fare i riformisti innovando la politica e recuperando la loro missione: proteggere i cittadini. Valorizzando il Welfare, che è un tesoro europeo!».
Della campagna europea dei progressisti non arriva nulla alle opinioni pubbliche nazionali…
«C’è un punto essenziale: nella Europa sociale che dobbiamo salvaguardare, Bruxelles non si deve sostituire ai singoli Paesi, ma affermare una nuova sussidiarietà: dare i mezzi agli Stati perché le autorità nazionali, regionali e comunali possano potenziare la rete per la salute, le scuole, le case popolari».
Dopo Brexit sembrava avvicinarsi un ciclo populista, ma da Francia, Germania, Baviera, Svezia, Olanda, Belgio, Finlandia, Slovacchia sono arrivati segnali diversi: spinta propulsiva esaurita?’ populisti fanno più paura di quella che cavalcano per affermarsi?
«Il populismo, così com’è, è destinato ad esaurirsi. La sua spinta propulsiva era prevalentemente critica, di protesta e all’inizio le loro profezie non potevano neppure essere discusse. L’esercizio del governo si è rivelato assai più complicato della critica: sta brutalmente emergendo che la complessità non può essere affrontata con le semplificazioni. Se tu non “consegni” qualcosa, non basta discutere, attaccare e difendersi sulla Rete: il web non riesce ad assicurare la protezione reale. E la complessità non si affronta, annullando il confronto. Diciamolo pure, all’inizio l’opinione pubblica godeva nel vedere umiliato il Parlamento, ma ora si comincia a soffrire quando ci si accorge che sono solo 19 i parlamentari presenti a discutere del caso-Regeni. Le riunioni del governo durano pochi minuti. Tranne quando devono litigare. E poi c’è una lezione paradossale che i sovranisti non comprendono…».
Quale?
La propria sovranità si difende soltanto stando in Europa. La tua identità non la puoi salvare quando al mondo ci sono 23 cinesi ogni italiano».
La politica italiana sta vivendo un lungo stallo in vista delle elezioni? Ce lo possiamo permettere?
«In una cosa i nostri governanti sono bravissimi: nel rinviare l’assunzione di responsabilità. Già dopo poche settimane di governo io ero ritenuto responsabile di tutto quanto accadeva, ma per questo governo è passato quasi un anno e continuano ad attribuire le colpe a quelli che c’erano prima. Questo gioco non può durare all’infinito».
Il leader del Pd Zingaretti sta rimettendo assieme i “cocci” di uno schieramento andato in frantumi. Dopo le Europee servirà più politica?
«Mi auguro che dopo aver ricomposto i “cocci” si apra un forte dibattito sui temi e sulle persone. Per usare una metafora calcistica, alla sinistra italiana serve una cura Ajax: valorizzare il vivaio e soprattutto aprirsi. I vecchi schemi di gioco, non funzionano più. I partiti vivono se si rinnovano».