Italia impaurita, per vincere al Pd serve un passo in più
Prodi: «Italia impaurita, per vincere al Pd serve un passo in più»
Il Professore commenta il risultato delle Europee: «Di alleanze non si può parlare fino a che Lega e Movimento 5 Stelle non hanno regolato i loro conti»
Intervista di Marco Ascione a Romano Prodi su Il Corriere della Sera del 27 maggio 2019
«Come diceva Totò, è sempre la somma che fa il totale». Si può anche partire dal principe De Curtis per capire i nuovi assetti dell’Europa. «E la somma — dice Romano Prodi — va distinta dagli addendi, alcuni sono positivi, altri negativi». Insomma: il giudizio del Professore è netto. «L’onda sovranista si è fermata».
Non avranno sfondato. Eppure a Parigi vince Le Pen, a Londra Farage, a Budapest Orbán deborda, a Varsavia il Pis avanza e a Roma Salvini trionfa.
«Ma il risultato qual è? Se guardiamo all’assetto complessivo, l’Unione Europea è stabile. Certo, ci sono situazioni diverse tra Paese e Paese ma possiamo affermare che in queste elezioni il sovranismo è stato arginato. Ed è accaduto nonostante i grandi errori commessi dalle istituzioni europee. Non c’è dubbio, quando si arriva al sì o al no sull’Europa la gente risponde sì. Ma è altrettanto vero che questo gioco non può durare all’infinito».
E quindi?
«Quindi l’Unione deve ripartire sfidando sul futuro e sull’innovazione Stati Uniti e Cina. Ma anche sul piano della solidarietà. È pronto e va attuato il piano da oltre 100 miliardi di interventi annuali per scuola, casa, sanità. Interventi in cui la Ue fornisce i mezzi ma le decisioni restano agli Stati e alle Regioni. L’orgoglio europeo, che va ritrovato, ricomincia da queste scelte».
Adesso a Bruxelles che accade? Non sventolerà la bandiera sovranista però gli assetti cambieranno.
«Esattamente come si prevedeva. Quindi popolari e socialisti si sommeranno con i liberali o con i verdi o con tutti e due. In questo senso c’è uno spostamento. E probabilmente se si realizza un’intesa con i liberali il Ppe dovrà rinunciare al suo spitzenkandidat Weber. D’altra parte il calo dei socialisti è stato inferiore alle aspettative. In Spagna, Portogallo e Italia sono andati bene. A Bruxelles quindi si accorderanno: il potere è un grande collante. L’asse tra popolari e populisti non è e non è mai stato un’alternativa verosimile».
Comunque vada, sarà una maggioranza che rimbalzerà tutte le richieste di Salvini?
«Salvini o cambia o spara a salve. Avere vinto in Italia, e ha vinto davvero, non significa che può alzare la voce e tantomeno chiedere un commissario di peso. Chi si isola, come ha fatto lui, non può che ridursi a chiedere l’elemosina. A Bruxelles si tratta su tutto!».
Se è per questo anche in Italia.
«Certo: la politica è trattativa. È alleanza. Salvini a Bruxelles si è voluto emarginare».
Però in Italia ha trionfato. Se lo aspettava in questi termini?
«Pensavo prendesse un paio di punti in meno. Ma ha influito fortemente a suo favore l’oscillazione dei 5 Stelle, prima sdraiati come uno stuoino e poi atteggiati ad Ercole Farnese. Un’ambivalenza che ha determinato l’entità della loro sconfitta e della vittoria leghista. Ma ora, Di Maio, dove potrà trovare una corda per risalire? Tutti, a questo punto, possono stare fermi. Tutti, tranne lui».
Il governo cadrà?
«Un compromesso fino all’estate lo troveranno. Ma in autunno sulla Finanziaria sarà difficilissimo. Per proseguire dovrebbero ritrovare un senso della misura che non hanno mai dimostrato di avere».
Resta il fatto che il 34% di chi ha votato ritiene che il leader della Lega sia il più idoneo a guidare il Paese.
«Sotto il profilo tattico Salvini è stato intelligentissimo a intercettare le paure degli italiani. Quando la paura è così grande si cerca sempre l’uomo forte. È un comportamento che abbiamo visto in America. Chi risiede nei centri cittadini risponde con maggiore equilibrio rispetto a chi, nelle periferie, si sente più abbandonato. Salvini, pur essendo al governo, ha giocato da oppositore puntando sulla paura, sullo stomaco e ultimamente sul rosario».
Forse il punto è anche un altro: la maggioranza del Paese è di centrodestra.
«Sono due cose diverse. La maggioranza di chi vota può anche essere di centrodestra. Ma di fronte alla paura immediata, impulsiva, molti elettori non distinguono più tra destra e sinistra. Anche se la differenza di per sé esiste ed è enorme. In un altro contesto io vinsi con un’alleanza basata sui contenuti, non sulle paure. E questo presto tornerà ad essere prioritario».
È una sfida alla portata del Pd?
«Il Pd intanto è stato riconosciuto come l’unica alternativa, e non è poco».
Il partito di Zingaretti è andato bene in queste elezioni o sono semplicemente crollati i 5 Stelle?
«L’una e l’altra cosa. Zingaretti ha messo le condizioni necessarie per ripartire, ora deve mettere quelle sufficienti per vincere. Perché questo accada è necessario lavorare a un progetto concreto per l’Italia sapendo benissimo che esploderanno due problemi già sul tavolo: la compatibilità di bilancio e l’ampliamento del fossato sociale tra la parte più ricca e quella più povera del Paese».
Dice Sala che da solo il Partito democratico non ce la può fare.
«Nessuno da solo ce la può fare!».
È giusto chiedere le urne anticipate?
«Lasciamo che Lega e 5 Stelle regolino i conti tra di loro, poi si vedrà. Parlare di voto è un gioco finché non si capirà che fine farà il Movimento di Di Maio che non potrà evitare di riflettere sulle proprie scelte e sulle proprie alleanze».
Ma quindi in futuro, una volta che si dovesse votare, è plausibile un’alleanza tra il Pd e i 5 Stelle?
«L’importante è ora pensare a costruire i programmi per il futuro dell’Italia. Con chi poterli realizzare diventerà chiaro non appena i 5 Stelle e la Lega avranno regolato i conti tra di loro».