Le europeee sono una grande opportunità per evitare un pericoloso isolamento
L’isolamento è pericoloso. Europee grande opportunità
Nella competizione globale l’unica possibilità è riaffermare il progetto UE
Intervista di Mimmo Sacco a Romano Prodi sul Quotidiano di Puglia del 10 marzo 2018
Professore, le prossime elezioni europee di fine maggio vengono considerate unanimemente un passaggio cruciale per il futuro dell’Europa. Lei paragona per importanza al voto del 18 aprile del 1948. Un’affermazione molto forte. Pensa possa svegliare le coscienze politiche di un elettorato che sembra non afferrare con chiarezza la portata politica di questo appuntamento?
Dovrebbe bastare una semplice constatazione: nessuna nazione, seppur forte, potrà mai competere con Cina o Stati Uniti. Incalzati come siamo da una globalizzazione che ci stringe, se non vogliamo fare la fine degli Stati italiani del rinascimento, scomparsi dalla carta geografica per 400 anni perché non attrezzati ad affrontare la prima globalizzazione, ossia la scoperta dell’America, per gli stati europei non vi è altra possibilità che riaffermare e portare a termine il progetto dell’Europa con il solo mezzo capace di incidere in concreto nella vita dei cittadini: l’azione politica. E se questo non basta allora si osservi la drammatica situazione in cui si trova oggi la Gran Bretagna, dopo lo scellerato referendum che ha visto l’affermazione della Brexit: la reale situazione di divorzio ha reso chiaro quanto grave sia la perdita dei vantaggi che l’Unione ha reso possibile, nonostante i suoi limiti.
Le elezioni europee rappresentano una straordinaria occasione per riaffermare il primato della politica e vincere l’immobilismo che ha contraddistinto l’Unione in questi anni. Norme e indicazioni europee, anche se giuste e importanti, non bastano, da sole, a soddisfare il giusto fronte d’attesa dei cittadini europei. Nella lunga crisi economica e finanziaria che ci ha colpiti, la mancanza dell’Europa politica, capace di scelte ispirate alla solidarietà e alla lotta alle disuguaglianze, ha alimentato sentimenti sovranisti e rinfocolato diffidenza, antichi nazionalismi e egoismi. Dobbiamo tornare a praticare politiche comunitarie, riscoprendo il senso vero della nostra Unione. Ci siamo uniti per mettere fine agli orrori della guerra e abbiamo garantito oltre 70 anni di pace entro i nostri confini, mentre a poca distanza da noi, nei Balcani, abbiamo assistito a veri e proprio massacri e persecuzione etniche. Abbiamo creato, caso unico nella storia, un mercato comune che ha garantito benessere, sviluppo, libertà di movimento di uomini e di merci. Il nostro stato sociale resta la conquista e il traguardo impossibili da raggiungere persino agli Stati Uniti, il più ricco paese al mondo. Con l’allargamento abbiamo esportato, senza un solo ferito e senza focali di guerra, la democrazia ai paesi dell’Est europeo. Questo non è un cammino che si possa invertire. A maggio, con le elezioni europee, dobbiamo decidere quale volto dovrà avere l’Europa, se sarà quindi capace di rigenerarsi riscoprendo i suoi valori fondanti o se sarà l’espressione degli egoismi nazionali. Per questo dico che queste elezioni rappresentano, come lo furono quelle del ’48, una scelta che riguarda il futuro in cui vivranno i nostri figli e i nostri nipoti. Una scelta che avrà conseguenze durature nel tempo, come nel 1948.
Lei invita ad esporre il 21 marzo la bandiera europea accanto a quella italiana, alle finestre e nelle piazze. Quale il significato, lo scopo di questo inusuale gesto di massa?
Ho avanzato una proposta, un po’ inusuale per me, per risvegliare l’ emozione e scaldare il cuore delle persone. E’ certo che logica e razionalità ci guidano a tenere ben cara la nostra Unione, ma al contempo è necessario ritrovare un sentimento comune di appartenenza, al Paese e all’Europa. La bandiera è il primo simbolo, il più immediato, che possediamo per poterlo fare. Dopo questi lunghi anni di crisi in cui abbiamo assistito al tentativo di ridurre l’Europa ad un triste gioco tra oscuri banchieri, è bene ricordare che l’Europa non è nata per l’interesse dell’uno ai danni dell’altro, ma ha segnato l’inizio di una nuova stagione di pace e di benessere che ha coinvolto centinaia di milioni di persone suscitando, ad ogni passaggio cruciale, come la costituzione della moneta unica e dell’allargamento, un sincero entusiasmo popolare. Il 21 marzo mi sembra il giorno giusto: segna l’inizio della primavera ed è il giorno di san Benedetto, patrono dell’Europa. Le bandiere che in quel giorno sventoleranno assieme saranno un modo collettivo per manifestare il nostro attaccamento al progetto europeo. Pensiamo alle bandiere della pace che hanno riempito le piazze e le strade delle nostre città e con le quali le persone chiedevano pace durante la tragica guerra in Iraq, pensiamo se quella richiesta fosse stata ascoltata! Spero che l’invito sia colto da tutti, al di là delle diverse appartenenze politiche, perché l’Europa è di tutti. Il mondo ha bisogno di Europa, questo è il senso della mia proposta.
È opinione molto diffusa che serva un’idea di Europa diversa che porti con la riforma delle sue istituzioni ad una vera integrazione. Quali riforme lei considera prioritarie?
Prioritaria è la ripresa di una politica comune: in questo contesto tutto può diventare occasione di integrazione europea. La ripresa del lavoro comune tra i paesi è l’unica strada per ritrovare coesione e unità necessarie non solo per affrontare le due super potenze, Cina e Stati Uniti, ma anche per sconfiggere la frammentazione interna che finirebbe con il penalizzare i paesi più deboli, come l’Italia, a vantaggio dei più forti. In questo ambito è necessario che la Commissione, organo sovranazionale, riacquisti il potere che ha perduto in favore del Consiglio Europeo, che è la rappresentanza dei singoli paesi. Abbiamo la moneta comune che è primo pilastro dello stato moderno, la costruzione del secondo pilastro, cioè l’esercito in comune, potrebbe essere una grande occasione di aggregazione, oltre che una risposta al Presidente Trump che chiede maggiori investimenti agli alleati, minacciando di uscire dalla NATO. Ci sono poi le politiche comuni in tema di migrazione, che sono un fenomeno destinato a perdurare nel tempo e che non può essere risolto con la chiusura dei porti o con la costruzioni di muri, ma con una nuova politica comunitaria che non lasci soli i paesi di frontiera e che allo stesso tempo disinneschi la continua tensione libica e nel Medio Oriente. Ho più volte auspicato che la Cina non resti il dominante paese che investe nel continente africano ma che anche l’Europa si faccia avanti con reali aiuti allo sviluppo. La Cina ha bisogno dell’Africa perché necessita di risorse e di cibo, noi abbiamo bisogno che l’Africa cresca e diminuiscano le tante tensioni se vogliamo che, nel tempo, la migrazione rallenti. E un’intesa con la Cina in questo senso sarebbe possibile. Occorrono però politici che ci credano e che portino avanti queste proposte. I partiti sovranisti sostengono sempre che bisogna aiutare i migranti a casa loro, ma in realtà nessuno di loro pensa davvero di farlo.
Macron e Merkel hanno firmato il trattato di Aquisgrana, rafforzando il patto dell’Eliseo del 1963. Verso questa nuova intesa non sono mancate critiche e riserve. Si parla di egemonia sull’Europa. Per l’Economist (noto settimanale inglese) l’accordo non è sufficiente per garantire la stabilità europea. Quale la sua lettura come profondo conoscitore dell’Unione europea.
L’accordo di Aquisgrana non costruisce un’intesa profonda come fu quella tra Kohl e Mitterand; esso infatti non ha preparato una linea comune nei grandi temi in cui Francia e Germania mostrano sostanziali divergenze, e cioè la politica estera e la politica economica. Aquisgrana contiene però il messaggio che qualsiasi futura politica europea deve passare attraverso un accordo di esclusiva fra Francia e Germania, anche se, nei campi in cui vi è divergenza, questo porta alla paralisi.
Da Aquisgrana derivano però due conseguenze: la prima è che l’Italia, per la sua sciagurata politica, non potrà più esercitare qual ruolo di equilibri di cui è stata capace in passato. La seconda conseguenza è che nei settori in cui vi è un interesse comune, la collaborazione fra Francia e Germania diverrà più operativa. Nel campo della politica industriale si è già concretizzata una strategia comune che, ovviamente, ignora l’Italia anche se il nostro paese è la seconda potenza industriale per fatturato e per esportazione.
Soffia forte il vento a favore dei sovranisti e populisti che spingono verso l’euroscetticismo. A costoro dalla vista corta non bisognerebbe ricordare che un’Europa forte, coesa e solidale può giocare un ruolo di equilibrio e di moderazione sulla scena mondiale. Al contrario un UE debole e frammentata diverrebbe inesorabilmente preda degli interessi delle super potenze: innanzitutto gli Stati Uniti con Trump e la Russia con Putin. È così difficile capirlo e agire di conseguenza?
Non sarebbe difficile capirlo, ma dal punto di vista della ricerca del consenso interno non conviene a molti. Ci si dimentica però che se nell’immediato non conviene, nel lungo periodo sarà anche pericoloso. E’ più facile dare la colpa a Bruxelles per tutti i guai nazionali e ha pagato, in termini di consensi, inventare un’Europa figlia della finanza. L’Europa è la sola nostra speranza dinnanzi alle sfide che il mondo globalizzato ci pone. Ma occorre un’Europa che intenda completare il suo progetto di unificazione e che non torni indietro. Divisi continuiamo a perdere.
Professore veniamo per ultimo alla crisi politica tra Francia e Italia. È dovuta ad un incontro di Di Maio a Parigi con un rappresentante dei Gilet gialli. Come lo si può considerare: un gesto di sconcertante leggerezza o provocatorio? E poi, questa mossa, secondo lei, potrà avere delle ricadute negative sul piano dei rapporti economici e commerciali?
Fosse solo con la Francia! Il governo italiano ha già avuto tensioni con la Germania, con l’Olanda, con il Belgio…Quella di Di Maio è stata una mossa infelice, credo dettata dall’urgenza di trovare gli alleati necessari per la lista europea. Una mossa che ha fatto reagire il Presidente Macron ma che, dati gli interessi reciproci, non credo avrà conseguenze irrimediabili. Ciò che è grave è l’isolamento a cui sembra proprio che ci si voglia consegnare. Non agiamo in consonanza nemmeno con le nazioni che il nostro attuale governo sente più affini per scelte politiche, come la Polonia o l’Ungheria! Tutto questo compromette il ruolo di mediazione tra Francia e Germania che in Europa abbiamo sempre esercitato. E certo non aiuta le nostre disastrate finanze che avrebbero invece bisogno di cooperazione con tutti gli altri paesi europei.
Quali segnali preoccupanti vengono dall’ondata di antisemitismo in Francia?
Il fenomeno francese non è un caso isolato. Soffiare sulle vele della paura risveglia antichi odi e fanatismi che possono anche innestarsi nei movimenti di protesta, come è avvenuto di recente in Francia. E la guerra di tutti contro tutti, la battaglia per l’affermazione della supremazia alimenta questo genere di manifestazioni violente, fino alle espressioni di odio razziale. Ogni gruppo etnico riscopre così le sue presunte ragioni di diffidenza verso gli altri e perde di vista le ragioni per cui la convivenza pacifica, nella diversità, è una conquista civile ed etica che tutela tutti. E’ una sfida, politica e insieme culturale. L’Europa è la costruzione di uno spazio libero e democratico sorto per porre fine agli orrori della guerra e alle persecuzioni etniche che hanno provocato milioni e milioni di morti durante il secondo conflitto mondiale. E’ un errore dare per scontata la pace e non promuovere ogni occasione possibile per riscoprire quali sono davvero le ragioni per cui ci siamo uniti. Basti pensare a cosa è stata la guerra dei Balcani, quali violenze si sono scatenate tra i diversi gruppi etnici e con quali conseguenze. Noi europei abbiamo il dovere, morale ed etico, di preservare il ricordo, la memoria di ciò che è stato ma ancora di più di operare, soprattutto attraverso le scelte politiche, perché ciò che è stato non accada mai più.