Tutta l’ex Jugoslavia nella UE per il futuro dell’Italia

Prodi: «Trieste capofila di un porto unico, da Fiume a Ravenna»
L’ex premier ed ex presidente della Commissione parteciperà venerdì a un evento di Units: «Importante anche per il futuro dell’Italia l’ingresso di tutti i Paesi dell’ex Jugoslavia nell’Ue»

Intrervista di Paola Bolis a Romano Prodi su Il Piccolo del 11 gennaio 2023

Se la ricorda “benissimo, e anche con un po’ di nostalgia”, quella notte del 2004 in cui da presidente della Commissione europea partecipò, sul piazzale della Transalpina, alla grande festa per l’ingresso della Slovenia (con altri nove Paesi) in Europa. E venerdì a Gorizia Romano Prodi tornerà per parlare di un percorso che sin qui ha portato Gorizia e Nova Gorica a lavorare insieme al progetto Go!2025, di un presente che deve vedere Trieste e l’Italia attendere un ingresso rapido dei Balcani nell’Ue, di un futuro che l’Europa potrà giocare da protagonista solo se diverrà realtà politica. Perché a chiedergli della guerra in Ucraina, finirà “quando Cina e Usa si metteranno d’accordo”, risponde l’ex premier.

Professore, nel 2003 lei rassicurò il popolo sloveno: “L’Ue rispetterà la vostra identità”, disse.

E infatti, in Europa le abbiamo rispettate le diversità? Sì, tanto che Paesi come Polonia e Ungheria su molti temi si sono messi di traverso grazie al totale rispetto delle identità, fatti salvi i princìpi fondamentali – libertà, uguaglianza, uguale trattamento delle minoranze – sui quali non si può transigere in quanto universali. I Paesi che quella notte entrarono in Ue sono cresciuti e si sono sviluppati a un ritmo molto superiore non solo rispetto all’epoca precedente, ma anche a quello degli altri Paesi europei.

Andiamo verso Go!2025, Gorizia e Nova Gorica capitale europea della cultura 2025. Può essere questo un modello di società europeo?

Non “può” essere, lo è. Cosa c’è di più identitario della cultura? Certo la comune identità si deve sviluppare anche in altri settori, ma la collaborazione nella cultura è la più importante di tutti.

Dieci anni dopo quel 2004, lei scriveva che quest’area non aveva saputo cogliere le opportunità che si erano aperte. E oggi?

Quando cadde la “cortina di ferro” pensavo a un più forte dinamismo di Trieste, che vedevo come liberata dai vincoli. Ma negli ultimi tempi il porto rinasce, Trieste ricomincia, con una certa fatica, a essere punto di raccordo con il Nordest dell’Europa: è questa la vocazione che la deve spingere ancora tanto più avanti, guidando un raggruppamento di porti da Ravenna a Fiume, forte di essere lo scalo con fondali unici e il più capace di sviluppo di tutta l’area. Pensare a un porto unico è indispensabile se si vuole fare concorrenza al Nord Europa. Vedo buoni sviluppi nella internazionalizzazione di Trieste che, come infrastruttura e posizione geografica, è peraltro “messa bene”, diciamo così.

Dopo l’ingresso della Croazia in Schengen, resta il nodo dei Balcani fuori dall’Ue. Mentre Mosca non perde occasione per farsi avanti.

Se fossi rimasto per altri cinque anni a Bruxelles avrei fatto di tutto per completare l’allargamento a tutti i Paesi dell’ex Jugoslavia, Albania compresa: sono parte dell’Europa. Che facciamo, scontentiamo la Serbia fino a che non entrerà nell’orbita russa? L’ampliamento è importante per l’Italia e ancor più per il Nordest e Trieste. Basta pensare a come si è sviluppato il porto del Pireo, a come fa concorrenza oggi a aree che dovrebbero essere naturalmente di Trieste. Dobbiamo rifletterci.

Ma sul Pireo la Cina ha giocato un ruolo importante.

E perché non lo può giocare anche a Trieste? Il problema non è la proprietà delle banchine: su questa avete dibattuto già anche troppo! Il problema è avere traffico ed essere capaci di smistarlo. Un porto deve essere aperto a tutto il mondo per definizione. E sotto questo aspetto le cose sembrano andare meglio.

Il ministro Tajani ha definito i Balcani un’opportunità e una necessità per l’Italia, rilanciando sul ruolo che il Paese può giocare. L’Italia lo ha trascurato?

Mi pare proprio di sì. Sono diventato furibondo, avrei reagito in modo fortissimo quando la Francia ha impedito l’avvio dei negoziati con Albania e Macedonia del Nord: non era solo un problema di questi due Paesi, era un messaggio, “dovete fare una coda lunga lunga”. Ma per l’Italia i Balcani sono un’apertura assolutamente possibile e potenzialmente molto importante per il futuro.

Come gestire la rotta balcanica dei migranti?

Se lei mi insegna come governare il flusso dall’Africa, io le insegno come governarlo dai Balcani… È una questione da gestire a livello europeo, e non lo si può fare neanche del tutto…

Lei ha detto che la guerra in Ucraina ha reso ancora più importante per l’Europa fare un passo avanti su politica estera e difesa. Come?

C’è una sola via: che la Francia si decida a mettere in comune le prerogative di politica estera che solo essa ha: il diritto di veto al Consiglio di Sicurezza Onu e l’arma nucleare. Sarebbe la spinta per un vero esercito europeo che oggi manca. È semplice: o ci mettiamo insieme o non avremo alcuna voce in capitolo nella Nato.

Quando finirà la guerra in Ucraina?

Quando Cina e Usa si metteranno d’accordo.

Quale ruolo giocano nelle tensioni europee i Paesi di Visegrad?

Il ruolo che si gioca sempre nella politica interna, quello degli interessi particolari. Ma non hanno alcuna intenzione di uscire dall’Ue, o di farsi marginalizzare. Il problema è che l’Italia, con altri Paesi cuore dell’Europa – Francia, Spagna, Germania… – giochi un ruolo di calamita. Poi certo, ci sono le differenziazioni, ma proprio per questo ribadisco la necessità di una Europa a due velocità: i Paesi di Visegrad non entreranno da subito nell’esercito europeo, ma quando lo avremo costituito anche loro si renderanno conto che la difesa dei propri interessi dipende dall’Ue.

La allarmano alcuni segnali di contiguità del centrodestra italiano oggi al governo con qualcuno di quei Paesi?

Dipende dalla politica che farà l’Italia. La proposta – avanzata da alcuni – di essere più vicini ai Paesi periferici come la Polonia o i baltici è un’idea destinata a fallire. Certo mi preoccupa perché non favorirebbe gli interessi italiani. In ogni caso finirebbe presto perché non abbiamo scelta, dobbiamo essere uniti ai grandi paesi con i quali abbiamo costruito l’Europa.

Ora il Brasile, prima Capitol Hill… Può accadere anche in Europa?

La democrazia è messa a rischio da chi non accetta la democrazia. Finora qui in Europa – e siamo 27 Paesi – non è mai successo. Ci ho pensato: significa che la più profonda difesa della democrazia è l’Europa.

Anche se svolta a destra?

Dipende dalle scelte che faranno i nuovi governanti. Se mi chiede cosa farei io se fossi al governo lo potrei dire. Cosa faranno gli altri, non lo so.

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
gennaio 11, 2023
Interviste