Un cambiamento radicale dell’Italia per tornare a correre
Prodi “Bene il Piano ma adesso cambiamo l’economia italiana per tornare a correre”
Intervista di Luciano Nigro a Romano Prodi su La Reubblica del 21 giugno 2021
Bologna – Se ci sarà, come credo, l’approvazione del Recovery Plan italiano, quello sarà un bel passo avanti per il nostro Paese. Segno che il governo Draghi ha lavorato bene per far fronte alle richieste molto severe dell’Europa”. Romano Prodi non nasconde la soddisfazione per il cambio di passo dell’Italia all’estero. L’ex presidente della Commissione Ue, due volte capo del governo in Italia, ha appena votato per le primarie del Pd di Bologna e si prepara a una lunga camminata con la moglie Flavia, tra Bologna e Firenze lungo la “Via degli Dei”. Ma prima di partire accetta di parlare a ruota libera della politica italiana, della situazione economica e del nostro ruolo nel mondo, dai rapporti con l’Europa all’America di Biden e alla Cina.
Professore, mercoledì arriverà per l’Italia la pagella più attesa, quella dell’Ue al Pnrr, il Piano di ripresa e resilienza, decisivo per il rilancio dell’economia italiana. Saremo promossi?
“Se sarà approvato, come credo, sarà un passo avanti importantissimo. Quel piano è la condizione necessaria per la ripresa. Guai, però, se lo considerassimo la soluzione di tutti i problemi”.
Vuole dire che non bastano 235 miliardi complessivi?
“Voglio dire che per attuare quei progetti occorre un cambiamento radicale del nostro Paese. E non intendo soltanto le riforme che ci siamo impegnati a realizzare: la pubblica amministrazione, il fisco e la giustizia che attendono da decenni. È l’intero sistema produttivo che va trasformato in profondità”.
Non solo la politica: deve cambiare anche l’economia?
“Sicuro. Se pensiamo di fare la rivoluzione ecologica comprando la tecnologia in Cina, le fabbriche chiudono e la gente prende i forconi. Per questo serve un balzo di tutta la nostra struttura produttiva. Il mondo sta cambiando con grande rapidità e dopo la pandemia lo farà ancora più velocemente”.
Si riferisce all’America di Biden?
“Gli Stati Uniti stanno investendo 6 mila miliardi di dollari, infrastrutture comprese, con un obiettivo radicale: ridurre le diseguaglianze. Un passaggio inedito. Finora Clinton e Obama, al massimo proponevano cambiamenti parziali, come la riforma sanitaria. Con Biden c’è qualcosa di diverso: una reinterpretazione del welfare, della redistribuzione della ricchezza, di un intervento pubblico in economia… Se Dio vuole dopo 40 anni di liberismo assoluto e selvaggio assistiamo, proprio in America, a una svolta radicale”.
Biden chiede però all’Europa di fare una scelta tra Usa e Cina.
“Non possono esserci dubbi sulla vicinanza dell’Europa con gli Usa, dal punto di vista militare, politico e dei valori. Ciò non toglie che abbiamo anche interessi diversi e, insieme ad altri Paesi europei, non si possa dialogare con la Cina. Pechino però non può pensare di dettare legge. La Via della Seta, per esempio, era una bella idea, ma richiedeva un ruolo ben più attivo dell’Europa”.
Come vede l’Italia in questo momento?
“Come un Paese che ha mille problemi da risolvere, ma finalmente può riprendere a correre mettendosi in contatto con il mondo che cambia. La mia fiducia nasce anche dal fatto che ritengo l’Italia ben rappresentata da Mattarella, Draghi e Letta“.
Si sente rappresentato anche dal Pd e dalle sue primarie? È scorso il sangue come lei aveva notato avviene in ogni consultazione?
“Intendevo dire che le primarie funzionano quando c’è battaglia di idee. Domenica, soprattutto a Bologna, c’è stato un bel contrasto. C’è chi parla di crisi dei gazebo del Pd, ma la crisi vera è quella della democrazia. Guardate alla Francia dove domenica ha votato solo un terzo degli elettori. In questo contesto le nostre primarie sono ancora un miracolo. A Bologna hanno votato in più di 26.000: un quinto di quanti andranno a votare per il centrosinistra ad ottobre. Poi, certo, sulle primarie si può discutere e sicuramente vanno regolamentate“.
A Roma, però, il Pd avrà per avversari anche Raggi e Calenda. Sul fronte delle alleanze Letta incontra parecchi ostacoli mentre il centrodestra si presenta unito. Tanto che Berlusconi parla già di un Partito repubblicano modello Usa per l’Italia.
“Partito repubblicano come negli Stati Uniti? E chi si trasforma in Trump? Meloni o Salvini?”.
Le difficoltà che oggi incontra Letta a sinistra sembrano ancora maggiori.
“Letta ha cominciato da poco, in una situazione difficile, ma sta facendo bene. Del resto non è detto che la coalizione debba funzionare in tutte le città. Le autonomie locali, si chiamano appunto autonomie. Quel che conta è trovare un accordo generale per le elezioni politiche”.
Per farlo, il segretario del Pd ha bisogno di rifondare un partito diventato un insieme di correnti. Ci riuscirà?
“Ci riuscirà se partirà da una solida base programmatica e se farà un grande appello alla base. Lo spazio c’è e c’è bisogno di una nuova linea. Il mondo sta cambiando. Guardate ancora gli Stati Uniti, dove Biden sta correggendo l’iniqua distribuzione dei redditi in un Paese dove di fatto i super ricchi non pagano le imposte”.
Le prime scelte del segretario del Pd, dallo Ius soli alla tassa di successione sui grandi patrimoni, non sembrano tuttavia molto popolari.
“Delle sue proposte è stato colto solo un aspetto e in modo strumentale. Sappiamo tutti che in Italia chi parla di tasse perde le elezioni. Ma quello che ha in mente Letta è un’altra cosa: è un disegno di giustizia sociale. E credo che questo la gente lo capisca”.
Ne è sicuro?
“Un tempo era solo qualche premio Nobel a porre il problema delle diseguaglianze. Oggi è persino il governo degli Stati Uniti che prova ad aggredirlo e piano piano con questo problema dovremo fare i conti anche noi. Un esempio? Fra le condizioni della ripresa c’è anche quella di avere manodopera qualificata. Oggi però è difficile trovare non solo i tecnici per le aziende della meccanica, ma anche un pizzaiolo o un medico”.
Colpa dei “salari indecorosi” di cui ha parlato di recente?
“Se altrove ti pagano il doppio, le probabilità che tu vada all’estero aumentano”.
Come si interviene?
“Lungo la linea che avevamo tracciato quasi vent’ anni fa quando mettemmo molti miliardi sul famoso ‘cuneo fiscale’ per ridurre le tasse sul lavoro. Non vedo altra strada”.
E sui licenziamenti? Ha ragione il segretario della Cgil Landini che chiede la proroga del blocco, o Confindustria che non ne vuole sentir parlare?
“Temo che siamo ormai alla guerra di religione, e io non sono né un teologo né un cardinale. Con un po’ di pragmatismo si poteva agire settore per settore, bloccando i licenziamenti in quelli che hanno sofferto di più e lasciando le cose come stavano in quelli meno esposti alla crisi. E soprattutto le risorse della cassa integrazione debbono essere dedicate alla necessaria qualificazione dei lavoratori”.
Pensa che tutto questo verrà dal cacciavite di Letta? Stando ai sondaggi la destra sembra favorita.
“Ho letto il suo libro e credo che Enrico abbia tutti gli strumenti per interpretare il cambiamento di fase che è iniziato nel mondo. Gli opinion poll danno vincente la destra, perché in questo momento non c’è un’alternativa. Ma se Letta riuscirà a creare un coalizione larga con un forte contenuto programmatico, se saprà indicare la via per un’Italia più giusta, anche gli elettori capiranno che il centrosinistra è più capace di interpretare il futuro che è già iniziato”.