Creare legami, guarire la democrazia

Creare legami, guarire la democrazie

Intervento di Romano Prodi al convegno organizzato da Comunità Democratica il 18 gennaio 2025

Grazie per l’invito a questo incontro di riflessione sui grandi temi politici di oggi. E soprattutto sui grandi cambiamenti nel mondo, in Europa e in Italia. Ed è un piacere che un’analoga iniziativa sia in corso ad Orvieto. Era ora!! Democrazia è infatti confronto, è discussione, è partecipazione e noi siamo stati muti per troppo tempo. Lo ripeto. In questo tempo corroso dal mito dell’uomo solo (o per essere corretti della donna sola) è bene ripetere che la democrazia si salva solo con la partecipazione.

Mi dispiace di non essere con voi in presenza, ma avevo da tempo un impegno qui a Fabriano per riflettere, insieme alla nostra brava Sindaca, Daniela Ghergo, su una drammatica crisi industriale che sta travolgendo l’intera città, lasciata sola dalla Regione e dal Governo.

Una circostanza che mi obbliga ad una prima riflessione: siamo ormai da quasi due anni in un calo continuo e progressivo della produzione industriale, che costituisce la maggior forza economica del nostro Paese. Una crisi non più congiunturale, ma strutturale. Non più una crisi derivante da un solo settore (automobile) o da un solo Paese (la Germania), ma da un cambiamento strutturale dei mercati mondiali e, soprattutto, di tutte le tecniche produttive e gestionali. La risposta del Governo è semplicemente nulla. Nessun dibattito, nessuna proposta, nessuna idea di futuro, nessuno studio e nessuna analisi sistemica da parte delle rappresentanze produttive a tutti i livelli.

Si apre perciò l’opportunità e il dovere che il principale partito di opposizione mobiliti le forze intellettuali e sociali per presentare le proposte che il Governo non è in grado di elaborare. Solo il PD può preparare un confronto fra le forze intellettuali, le forze produttive e le forze sindacali, tenendo conto di una situazione che confina l’Italia (nonostante gli aiuti del PNRR e la spinta del turismo) a un tasso di crescita inferiore a quello del pur miserevole sviluppo europeo, nonostante ogni giorno assistiamo a dichiarazioni che celebrano con entusiasmo i nostri successi economici. E questo nonostante un livello salariale che non permette più ai giovani di costruire una famiglia. Proprio questo è uno dei grandi temi che dobbiamo affrontare per preparare il futuro.

Ho iniziato queste mie brevi riflessioni richiamando crescita e sviluppo perché, date le trasformazioni della società, il crollo demografico e il problema dell’invecchiamento, il riformismo e il progresso economico possono progredire solo camminando insieme. Non vi può essere cambiamento senza progresso e non vi può essere progresso senza cambiamento. Ci siamo invece troppo abituati a pensare che si possa progredire senza cambiare. Deve essere invece ben chiaro che la stessa pianta del Welfare State, che tanto ci è cara e che è, e deve rimanere, la motivazione fondamentale della nostra partecipazione alla vita politica, non può crescere senza la capacità di interpretare i grandi cambiamenti che avvengono nella società, nella scienza e nella tecnica. Per fare solo un esempio: nel settore della sanità tutto è cambiato e tutto è progredito rispetto al lontano 1978, quando questa riforma fu messa in atto.

Giustamente insistiamo sulla necessità di risorse aggiuntive, ma questo non basta. Dobbiamo mettere in atto le riforme rese necessarie dai cambiamenti della società e dagli straordinari progressi tecnici del settore.

Preso atto della auto-decretata fine del liberismo assoluto, è venuto il momento delle proposte necessarie per la ricostruzione della società. Risposte che debbono essere collettive, corali e democratiche per venire incontro ai bisogni di una società che (anche per effetto dei nuovi media) sa parlare solo ai singoli per poterli controllare e dominare.

Noi tutti, a partire proprio da noi che amiamo definirci riformisti, ci siamo invece adattati al pensiero unico, accettando le ingiustizie che sono progressivamente aumentate nel tempo e che oggi sono diventate così grandi che non possono reggere a lungo. Per questo motivo il primo dovere politico è quello di proporre e costruire il nuovo. Se non adempiamo a questo compito non possiamo sorprenderci se vince la destra perché tra l’imitazione e l’originale vince sempre l’originale.

Questo ci obbliga ad una riflessione sul ruolo del PD, sul suo difficile passato e sulle sue prospettive future. Un passato difficile perché negli ultimi 15 anni il partito ha perso la metà dei suoi elettori, con una emigrazione che si è massicciamente diretta verso l’astensione. Tuttavia, come dimostra la sua tenuta e la sua ormai indiscussa leadership nell’ambito dell’opposizione, il PD è l’unico partito che per la sua forza e i suoi legami che ancora conserva nella società, è in grado di indicare i progetti, gli strumenti e i percorsi necessari per ridare un futuro all’Italia. È l’unico partito che, se sarà capace di apertura e condivisione, potrà costruire un’alleanza vincente, fondandosi su un’idea e un progetto condiviso.

Ringrazio quindi Elly Shlein, che in un tempo così difficile è riuscita a rinforzare l’indispensabilità del ruolo del PD come catalizzatore della necessità del cambiamento della politica italiana.

Non vi è certo bisogno di spiegare la necessità per il Pd di costruire alleanze. In nessun significativo Paese dell’Unione Europea esiste un partito in grado di governare da solo. E questa è stata anche l’esperienza italiana.

Insisto sempre sul futuro perché in Italia, comprendendo anche il PD, abbiamo cessato di riflettere e di discutere su un progetto complessivo, articolato e concreto.

E noi lo possiamo fare perché, più degli altri partiti e movimenti, siamo in grado di ascoltare e aggregare le grandi risorse umane che la società italiana ancora possiede. Pensiamo agli infiniti talenti dei nostri insegnanti, delle nostre università, delle ONG, delle associazioni culturali, scientifiche e di volontariato, dei sindacati, degli operatori del mondo dell’economia, del mondo del Welfare, della Pubblica Amministrazione, a partire dalla Sanità. Pensiamo al poderoso patrimonio dei nostri sindaci e dei nostri amministratori locali che nel recente passato, e ancora oggi, portano avanti il compito di guidare in modo eccellente le nostre città e i nostri paesi. Il grande appoggio popolare di cui godono è una risorsa di straordinaria importanza.

Risorse a noi vicine che non siamo stati finora in grado di mobilitare. Eppure è chiaro che solo con un processo di apertura e di inclusione potremo attrarre nuove adesioni e costruire le alleanze necessarie, riconoscendo i nostri errori del passato, che sono tanti, ma soprattutto riflettendo sugli obiettivi futuri e le strategie che uniscono tra di loro i riformisti.

Non è infatti difficile elencare, a titolo di esempio, alcuni dei grandi obiettivi che ci uniscono:

  • 1. la difesa dei diritti sociali e il ruolo dello Stato come arbitro e regolatore; una proposta organica e omnicomprensiva sull’immigrazione che riguardi la preparazione dei potenziali emigranti nel paese di origine, le regole e le condizioni dell’accoglienza, l’ottenimento della cittadinanza, la necessità di superare la contraddizione fra l’assoluta e crescente necessità di forza-lavoro e la realtà delle cose che impedisce agli immigrati di divenire forza-lavoro;
  • 2. una semplificazione burocratica delle norme che stanno da tempo soffocando la nostra vita economica e sociale, un problema che condiziona ogni possibilità di sviluppo;
  • 3. la lotta all’evasione fiscale come essenziale obiettivo di equità e di riequilibrio dei bilanci pubblici;
  • 4. una politica ambientale forte, ma anche attenta alle specifiche misure da adottare per evitare il rischio che tali misure non siano poi concretamente applicabili e finiscano con alimentare l’anti ambientalismo;
  • 5. un grande piano di edilizia sociale con le esperienze di collaborazione fra pubblico e privato che sono, tra l’altro, nate nel mondo cattolico;
  • 6. un profondo ripensamento per una riforma delle strutture e del finanziamento della scuola e della sanità: le risorse, pur necessarie e urgenti, non bastano;
  • 7. gli importantissimi capitoli che riguardano la politica delle infrastrutture e il Mezzogiorno;
  • 8. il necessario procedere alle correzioni ancora possibili al PNRR interpretato, fino ad ora, più come uno strumento di sollievo temporaneo che non come una leva per lo sviluppo;
  • 9. la necessità di una vigorosa partecipazione alla politica europea con un contributo all’integrazione che è totalmente estraneo allo spirito del nostro Governo. Tante sono le cose da fare a partire da un’azione per la fine della unanimità e per una promozione delle cooperazioni rafforzate in tutti i casi in cui vi siano le condizioni per far progredire l’integrazione europea. Ma questa azione deve essere affiancata da una comune politica estera e da una comune politica di difesa. Non è certo produttivo per la nostra sicurezza aumentare le spese militari se non costruiamo un esercito comune. Già spendiamo 480 miliardi di euro per la difesa, metà del bilancio degli Stati Uniti e più della Cina e non contiamo nulla nel campo della difesa;
  • 10. una politica per il Mediterraneo dedicata a costruire il tessuto economico e sociale dilaniato dai conflitti e da sciagurate decisioni di politica estera che hanno provocato le tragedie della Palestina e della Siria. Come italiani non possiamo non ricordare il conflitto libico, una guerra che abbiamo dichiarato contro noi stessi;
  • 11. un’azione comune per la promozione della pace che l’Europa non è stata in grado di impostare nemmeno quando la guerra ha bussato alle nostre porte in conseguenza della imperdonabile invasione dell’Ucraina da parte della Russia. La promozione della pace è il principio su cui si deve fondare ogni nostra presenza politica.

Dopo questa breve riflessione sui necessari obiettivi da perseguire, cerchiamo anche di riflettere sul fatto che se abbiamo questo Governo è perché invece dei necessari progetti e dei necessari accordi abbiamo fatto i capricci.

Ho più volte fatto cenno ai cambiamenti del mondo. Siamo di fronte a rivoluzioni gigantesche inattese e impreviste.

È in crisi la globalizzazione economica e, evento ancora più grave, è subentrata ad essa il tentativo di una globalizzazione della politica. Da un lato la sfida cinese (non solo economica, militare e tecnologica, ma totale), una sfida accompagnata da un crescente autoritarismo interno e un’impressionante capacità di attrazione del terzo mondo. Tale da configurare uno scenario di West contro Rest. Dall’altro lato l’arrivo di Trump e Musk con le lotte commerciali e le interferenze senza precedenti in Groenlandia, Panama, Canada, Germania, Gran Bretagna e chi più ne ha più ne metta. Siamo arrivati al punto di augurarci che l’uomo più potente e quello più ricco del pianeta siano due grandi bugiardi perché se mettessero in atto quello che promettono sarà un bel guaio per tutti, a cominciare da loro stessi. Questi eventi e queste interferenze di Trump e Musk dovrebbero mettere in grande difficoltà i nostri sovranisti che pure, contraddicendo la loro dottrina, sono diventati in un brevissimo arco di tempo più che mai obbedienti e adattabili. Ma gli stessi eventi obbligano anche noi a riflettere profondamente su quanto sta avvenendo.

È necessaria una importante e costruttiva alleanza con gli Stati Uniti, ma insieme è necessario interpretare questa alleanza con una politica europea unitaria che non può accettare il rapporto bilaterale che sta emergendo tra gli Stati Uniti e i singoli paesi europei. Con gli Stati Uniti dobbiamo essere alleati e amici profondi, ma non sudditi. Abbiamo invece un Governo che pensa che un bilateralismo di obbedienza produca frutti positivi per l’Italia e, dall’altro, una decrescente capacità propositiva di Bruxelles, con una Commissione ancora incapace di una risposta sulla politica prospettata da Trump e Musk.

Siamo di fronte ad una politica che sta indebolendo le fondamenta della democrazia, della stessa democrazia americana a partire dalle regole dell’antitrust, non più un elemento di incoraggiamento della concorrenza, ma uno strumento di potere per imporre un’autorità senza controllo del Governo.

Viviamo nel grande dilemma europeo di un’alleanza con gli Stati Uniti, ma con la difficoltà di renderla operativa e positiva attraverso una politica unitaria europea. E il nostro Governo non contribuisce certo a renderla unitaria.

In questo quadro dobbiamo prepararci per un confronto elettorale che fra due anni dovrà dar vita ad un Governo di cambiamento, di progresso e di solidarietà e dovrà avere una durata per l’intera prossima legislatura. Dobbiamo preparare un programma capace di interpretare tutte le novità che abbiamo brevemente elencato con il radicalismo che è necessario quando si è di fronte a cambiamenti epocali, ma anche con lo spirito unitario e di collaborazione che è troppo spesso mancato. Uno spirito unitario e di collaborazione che è sempre stato alla radice della presenza dei cattolici democratici nella politica italiana. Cattolici democratici che, in conformità con il precetto evangelico, sono chiamati ad essere il lievito e il sale di ogni comunità nella quale si trovano ad operare. Lievito a servizio di tutta la comunità con una attenzione primaria alla difesa dell’uguaglianza e della parità dei diritti e delle opportunità. Un compito che i cattolici hanno esercitato fin dal loro ingresso nella vita politica italiana. Pensiamo a Luigi Sturzo, pensiamo all’immediato secondo dopoguerra con le innovative proposte riformiste nel grande progetto, rimasto purtroppo unico, di edilizia popolare di Fanfani, pensiamo alla riforma fiscale di Vanoni. Tutti insegnamenti e stimoli che debbono essere ripensati e ripresi. In particolare non possono dimenticare l’intensità dei sentimenti che ha accompagnato la creazione del Servizio Sanitario Nazionale nel dicembre 1978. Ero allora giovane (e ancora promettente) Ministro dell’Industria e vi posso assicurare che la proposta della Senatrice Tina Anselmi (con profonde radici nel mondo cattolico e con una formazione irrobustita dalla guerra partigiana) ha davvero provocato emozione e commozione in un consesso come il Consiglio dei Ministri in cui questi sentimenti non sono certo quotidiani. Forti di questo patrimonio di riformismo e di radicalismo dobbiamo proporci di difendere la preziosa eredità del Welfare, dobbiamo lottare per diminuire i divari esistenti, dobbiamo avere come obiettivo la difesa dei salari, che non possono essere sostituiti dai bonus. Una funzione di lievito indispensabile per il Partito Democratico e preziosa per costruire le alleanze capaci di offrire nuove prospettive al futuro dell’Italia. Non ho usato in modo casuale il richiamo al lievito che per sua natura rende buono il pane, non solo una parte di esso, ma tutto il pane.

Come per altro testimonia la storia di tutta la mia vita politica, non penso quindi a un partito dei cattolici ma al necessario e indispensabile (anche se non sempre riconosciuto) contributo dei cattolici alla costruzione di un Paese più giusto, più dinamico e più capace di interpretare i grandi cambiamenti di oggi e le grandi novità di domani. Sono passati trent’anni, proprio in questi giorni, da quando abbiamo definito un comune obiettivo e costruito una comune alleanza che, partendo da una sfida quasi impossibile, ha ricevuto l’approvazione della maggioranza degli italiani.

Ho parlato di lievito ma il Vangelo parla anche di sale. Il sale che dà sapore non solo al pane ma a tutti i cibi e vi scompare dentro. Se infatti il sale appare e rimane in superficie non dà sapore al cibo ed è destinato ad essere gettato via e calpestato. Per questo la presenza cristiana non deve mai dimenticare la dimensione del servizio: impegnato, gratuito e senza riserve.

Esiste tuttavia anche una definizione, forse meno evangelica, per cui, quando si parla di sale ci si riferisce istintivamente alla ponderazione e alla saggezza. Cioè alle grandi virtù politiche che si formano solo con lo studio, la comprensione e il colloquio con la società. Questo è il sale di cui abbiamo bisogno se vogliamo essere protagonisti del futuro.

 

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Dati dell'intervento

Data
Categoria
gennaio 18, 2025
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