Stellantis: il mercato dell’auto e le mosse per ripartire
Il caso Stellantis – Il mercato dell’auto e le mosse per ripartire
Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 08 febbraio 2024
Si discute molto sulle improvvide dichiarazioni di Tavares che ha chiesto copiosi sussidi per conservare in Italia il residuo di capacità produttiva che Stellantis ancora possiede nel nostro paese. Queste dichiarazioni non costituiscono una novità. Non sono che un capitolo della lunga storia che riguarda la progressiva estinzione dell’industria automobilistica italiana.
Prendendo in esame solo gli ultimi vent’anni ricordiamo che, di fronte alla durezza della concorrenza e a all’ormai prolungata insufficienza degli investimenti, gli azionisti della Fiat, nell’estate del 2004, chiamarono alla massima responsabilità dell’azienda non un esperto di ingegneria, ma un genio della finanza.
Il compito di Marchionne era infatti salvaguardare il patrimonio degli azionisti messo a rischio da una situazione finanziaria disperata. Non aveva il mandato di creare, nella Fiat e attorno alla Fiat, una squadra vincente nella nuova concorrenza internazionale, ma di salvare il patrimonio degli azionisti. Il quasi impossibile compito fu svolto in modo assolutamente geniale e quasi insperato.
Marchionne, tuttavia, era cosciente e ha più volte resa esplicita la tesi che i nostri impianti fossero arretrati e sovradimensionati e che, quindi, fosse necessario ridurne la capacità produttiva, limitando gli investimenti, la ricerca e la produzione dei nuovi modelli.
Il conseguente calo degli addetti ha proceduto a ritmo inesorabile. Si è quindi arrivati alla creazione di Stellantis, dove la Fiat, risanata finanziariamente, anche se marginale dal punto di vista produttivo, ha potuto offrire agli azionisti una sicura protezione del proprio capitale nella nuova impresa sotto totale comando francese. La strategia del CEO di Stellantis è estremamente chiara: ridurre drasticamente i costi moltiplicando gli investimenti e le capacità produttive verso i paesi a basso costo del lavoro, come Serbia e Marocco.
Nello stesso tempo ogni funzione direttiva, dalla ricerca al marketing, dalla logistica alla finanza fino alla progettazione delle nuove auto elettriche, è trasferita in Francia, così come è sempre più francese la composizione dei quadri direttivi di medio ed alto livello.
D’altra parte era quanto il nostro giornale aveva previsto nel momento della nascita di Stellantis, appena erano state rese note la sua dirigenza, la composizione del suo consiglio di amministrazione e la partecipazione dello Stato francese.
A questo si sono aggiunte, oltre alla vendita della Magneti Marelli, le alienazioni degli immobili industriali svuotati dalle linee di produzione e il progressivo calo dei modelli, dei telai e dei motori di origine italiana. Non dobbiamo quindi stupirci se, dopo più di un secolo, la Fiat non è nemmeno leader nel ristretto mercato italiano.
Se nelle strategie aziendali di Stellantis comprendiamo anche il cuore delle auto elettriche, e cioè le batterie, l’accordo iniziale era di costruire tre impianti, uno in Germania, uno in Francia e uno in Italia.
Gli investimenti franco-tedeschi procedono senza sosta e la decisione sull’impianto italiano è rinviata al 2026. Il che significa che la fabbrica sarà realizzata solo se la capacità produttiva delle altre due non sarà sufficiente. Dato il forsennato numero di nuovi impianti di batterie in costruzione e dato il faticoso decollo dell’auto elettrica, è chiaro che l’impianto italiano ben difficilmente vedrà la luce.
Nel frattempo, in Italia, Stellantis offre incentivi cospicui a chiunque si dimetta, qualsiasi ruolo ricopra, ma continua a godere degli impressionanti sussidi forniti dalla cassa integrazione, alla quale viene fatto crescente ricorso anche quando si chiedono ulteriori aiuti pubblici.
In questa situazione, l’ipotesi di una partecipazione dello Stato italiano all’azionariato di Stellantis per bilanciare la presenza francese, appare vuota di ogni prospettiva concreta, dato che la strategia attuale è condivisa da tutti gli azionisti, compresa l’italiana Exor.
E ben poco cambierebbero le cose, se non in direzione di un’ulteriore nostra emarginazione, se si dovesse procedere verso la fusione tra il gruppo Stellantis e la Renault.
Date queste conclusioni, quale dovrà essere la strategia italiana del settore dell’automobile, dove abbiamo ancora una straordinaria presenza nella componentistica e nell’auto di alta gamma?
Il primo passo è in una politica di rafforzamento e concentrazione della componentistica stessa, dove esprimiamo grande eccellenza e riguardo alla quale non si deve nemmeno escludere un rinnovato rapporto con la Magneti Marelli, ancora alla ricerca di una propria strategia dopo il distacco dal gruppo Fiat.
Del tutto naturale è inoltre il rafforzamento delle produzioni di alta gamma, il cui mercato è in continua crescita nel mondo e nel quale il made in Italy fa premio su ogni altra origine, come è dimostrato dal recente cospicuo investimento del gruppo Volkswagen nella Lamborghini e, nel confinante campo motociclistico, nella Ducati.
Questi sono obiettivi quasi scontati, mentre più complicata è la possibilità di partecipare al grande processo di riorganizzazione mondiale in corso per attrarre altre case produttrici di auto elettriche o, comunque, di nuova tecnologia.
Un grande produttore non lo si fa arrivare solo con gli incentivi, soprattutto in un paese come l’Italia che non dispone certo di risorse cospicue, ma con un disegno politico capace di mettere in giusto rilievo le risorse critiche del paese. E di queste non manchiamo, anche perché possiamo accompagnarle con un costo del lavoro purtroppo molto inferiore a quello tedesco e a quello francese e con una produttività che, in tutti i settori della meccanica strumentale, non è certo inferiore a quella d’oltralpe.
Nella riorganizzazione in corso, sarebbe certo più facile attrarre nuovi protagonisti se si potesse disporre di un brand come Maserati o Alfa Romeo, marchi che non sembrano trovare un posto adeguato nella strategia di Stellantis.
Questo è tuttavia solo un sogno, come è difficile immaginare avere in Italia le fabbriche cinesi che stanno correndo verso tanti altri lidi europei. Una cosa però è certa: non possiamo fare nulla se non costruiamo una squadra di esperti capace di presentare nella loro giusta luce la risorse tecniche ed economiche del nostro paese. Dato che abbiamo sostanzialmente svuotato tutti i ministeri delle capacità necessarie, perché non cominciamo a costituire una squadra di una ventina di giovani specialisti che, guidati da un anziano ed esperto imprenditore, o dirigente, con il mandato dell’intero governo, presenti agli investitori internazionali le nostre potenzialità? Questo non vale solo per il settore dell’auto.
Da molti anni, infatti, nessuno viene a investire in una nuova impresa in Italia, anche se gli operatori internazionali continuano ad acquistare le nostre aziende e le filiali italiane delle multinazionali fanno profitti superiori alla media di tutte le imprese da loro possedute.
Solo il giorno in cui saremo in grado di attrarre nel nostro paese una cospicua presenza di uno dei grandi protagonisti dell’economia mondiale, l’Italia potrà uscire dai due decenni di bassa crescita che ha alle spalle.