Ucraina: Trump e il fattore tempo che avvantaggia la Russia

Il fattore tempo che avvantaggia il Cremlino

Articolo di Romano Prodi su Il Messaggero del 20 marzo 2024

La conseguenza più importante del lungo colloquio telefonico fra Trump e Putin è che il dialogo è cominciato. Le decisioni prese sono in effetti assai marginali e si limitano all’impegno, peraltro limitato nel tempo, di non colpire le infrastrutture energetiche dell’uno e dell’altro fronte, a cui si aggiunge un modesto scambio di prigionieri, che si era già ripetuto varie volte in passato. Non si è nemmeno parlato di una pur limitata tregua nei combattimenti e tutto è stato rimandato a possibili colloqui successivi e alle trattative che si stanno svolgendo in Arabia Saudita.

Nelle due ore e mezza di colloquio non sono naturalmente mancati gli auspici e le invocazioni sulla necessità di arrivare alla fine della guerra e alla realizzazione di una pace duratura, oltre alla prospettiva di un miglioramento dei rapporti fra Russia e Stati Uniti e ai grandi vantaggi economici e politici che la pace potrebbe produrre.

Nulla si è però detto sui concreti problemi territoriali e sulla eventualità di un’entrata dell’Ucraina nella NATO e nell’Unione Europea.

Nonostante questo, penso che il colloquio sia stato importante. Esso è infatti il primo dei contatti tra i due grandi protagonisti della guerra che, più di altri, avranno la possibilità di porre fine al conflitto nel prossimo futuro. Non solo Putin e Trump sono da lungo tempo amici ma, in fondo, hanno anche un nemico comune: il partito democratico americano.

Andando oltre la sua genericità, il comunicato finale della Casa Bianca offre comunque alcuni interessanti elementi di riflessione. Il suo testo parla infatti di un conflitto che non avrebbe mai dovuto cominciare e che avrebbe dovuto finire molto tempo fa, in uno spirito di sincera amicizia e di negoziati condotti in buona fede. Nessuna allusione a come è cominciata la guerra e nessun accenno all'”aggressione”, il vero motivo che ha spinto i molti paesi, a cominciare dagli Stati Uniti, ad aiutare la resistenza ucraina. E’ inoltre doveroso prendere atto del grande vantaggio che ne ha riportato Putin. Il colloquio telefonico ha posto fine al lungo isolamento in cui l’Occidente lo aveva confinato da quando era cominciata la guerra, rendendolo un protagonista di livello pari al presidente degli Stati Uniti d’America. Anzi lo ha reso un protagonista più forte, in quanto Trump ha poco tempo per concludere una tregua, mentre il fattore tempo gioca a favore di Putin. Infinite volte il presidente americano ha infatti ripetuto che avrebbe posto fine alle ostilità “in un solo giorno”, mentre Putin non ha limiti di tempo.

Di fronte alle difficoltà che trova nel mettere in atto le grandi decisioni prospettate nel campo economico e nell’organizzazione del governo, Trump ha assoluto bisogno di un rapido risultato in politica estera. Questo risultato può essere raggiunto più facilmente in Ucraina che non nel Medio Oriente, anche se questo tema è stato pur brevemente trattato nel colloquio. Non dimentichiamo inoltre che tutto questo indebolisce la già difficile resistenza dell’esercito ucraino e che, più passa il tempo, più Zelensky sarà costretto ad accettare condizioni peggiori. L’incertezza dell’aiuto americano non può essere certo sostituito da un eventuale crescente impegno dell’Europa. La quasi totalità dei paesi europei sostiene infatti la causa ucraina, ma ogni giorno emergono nuove difficoltà sul modo concreto di difenderla. Nel frattempo il campo di battaglia è sempre più in mano della Russia che, quindi, non ha alcun interesse ad accelerare i tempi della tregua.

Inutile ripetere che l’Europa non è stata nemmeno nominata dai due autocrati e che difficilmente porteranno grandi novità le discussioni che avranno luogo domani a Bruxelles nel Consiglio europeo.

Su questi temi si è invece infiammato il dibattito politico italiano. Nella discussione al Senato la presidente del Consiglio ha infatti abbandonato l’impossibile equidistanza mantenuta finora fra la nuova politica americana e i maggiori paesi europei. La scelta di campo in favore di Trump è stata più volte motivata dalla considerazione che non è nostro interesse allontanarci da Trump, come se non fosse stato Trump ad allontanarsi da noi, arrivando addirittura a tacere che il presidente degli Stati Uniti ha affermato che l’Unione Europea è nata solo per danneggiare l’America, rinnegando così i lunghi decenni di comunanza di interessi e di sincera amicizia.

Una divisione ancora più profonda è stata prodotta nel dibattito di ieri alla Camera in cui Giorgia Meloni, deridendo il Manifesto di Ventotene, ha voluto colpire non solo le scelte politiche, ma anche l’aspetto emotivo della nostra appartenenza all’Unione Europea.

Il Manifesto di Ventotene, con tutti i limiti contenuti in un documento scritto da militanti antifascisti all’inizio di una sanguinosa guerra che stava portando a distruzione il nostro continente, è stato infatti il documento che ha guidato tutti coloro che si volevano lasciare alla spalle le tragedie dei nazionalismi per iniziare la costruzione di una solidarietà europea che ci ha garantito tre generazioni di pace, di libertà e di benessere.

Riesce difficile capire le ragioni di una così profonda ferita che renderà ancora più laceranti i conflitti che già fanno tanto danno alla nostra Italia e più fragile il nostro ruolo nella politica europea. E’ forse anche utile ricordare che, se si ritornerà ad un auspicato riavvicinamento fra gli Stati Uniti e l’Unione Europea, il ruolo più importante sarà giocato dai paesi europei che, avendo creduto nell’Europa, potranno essere i protagonisti di questo riavvicinamento.

Leggi il resoconto della Casa Bianca sul colloquio Putin-Trump

Leggi il resoconto del Cremlino sul colloquio Putin-Trump

Leggi Il Manifesto di Ventotene

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Dati dell'intervento

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marzo 20, 2025
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